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L’Emilia in bottiglia

di Anna Prandoni, 9 Luglio 2020
Tempo di lettura: 13 minuti
L’Emilia in bottiglia

Tra Reggio Emilia e Parma, in mezzo alle colline, sorge un’azienda che ha fatto di vino e Aceto Balsamico Tradizionale i suoi capisaldi: una tenuta intatta dal XVI secolo. Preservare questo territorio e farne un veicolo di comunicazione e di conoscenza universale è parte della missione di Venturini Baldini fin dalla sua nascita nel 1976 e questo testimone è stato raccolto negli ultimi anni dalla famiglia Prestia, dal 2015 custode dello storico marchio reggiano con l’aiuto dell’enologo Carlo Ferrini. 

Veri custodi dei 32 ettari di vigneti di proprietà, interamente coltivati in regime biologico, i Prestia hanno impresso nella tenuta una visione personale e distintiva, regalando a questo angolo di Emilia una rilevanza internazionale e una imprenditorialità nuova, basata su una riscoperta della tradizione che vada al di là del consueto. Senza mai dimenticare le origini nobiliare di una realtà fortemente identificata con il territorio di appartenenza e con le sue splendide vigne.  

Come custodite il territorio e le tradizioni?
A volte devi venire da fuori, come me che sono siciliano, per apprezzare quello che hai. Abbiamo portato Il nostro Sorbara da Modena a Reggio lo cresciamo in collina, dimostrando un attaccamento al territorio che va oltre la provincia.

La nostra acetaia è una piccola chiesa, e la proponiamo come contenitore di territorialità. Mettiamo il meglio dell’Emilia in bottiglia.

Vogliamo portare nel mondo il meglio che l’Emilia può rappresentare. Inoltre, cerchiamo di fare rete e sostenere la filiera: lavoriamo tantissimo con Fattorie Rossi, e facciamo sempre sinergia con altri artigiani di queste zone.

Come nasce questa azienda e come è composta?
La Venturini Baldini è qualcosa di unico nel contesto emiliano. Un’azienda di collina e una tenuta storica voluta dai Marchesi Manodori, governatori di Reggio Emilia. Una tenuta di collina che non fu smembrata: abbiamo ancora 130 ettari, di cui 32 vitati, in posizione unica, tra i 150 e i 400 metri di altezza immersa in un parco con una riserva naturale. Acquisita nel 1996 dai coniugi Venturini Baldini ha seguito un percorso unico, prima azienda certificata bio in Emilia Romagna. Negli anni ’90 con un enologo i coniugi produssero il primo spumante di Lambrusco reggiano, in una bottiglia da champagne. Veniva così da Reggio il Lambrusco delle grandi occasioni, che trovò presto i suoi affezionati anche a Modena e a Parma. Più di 30 anni fa ebbero la visione di piantare 20 ettari di Lambrusco anche a Reggio, e con i 12 ettari di vitigni internazionali nella parte più alta della tenuta, con esposizione est ed ovest su terreni argillosi: riuscirono quindi a realizzare il primo metodo classico 100% emiliano prodotto con uve proprie. Inoltre, qui abbiamo la più antica acetaia – risalente al diciassettesimo secolo – di balsamico tradizionale di Reggio Emilia da mosto, e non da vino.

© Gabriella Corrado / LUZ

Quali cambiamenti sono avvenuti negli ultimi anni? E come conciliate la vostra tradizione, questa lunga storia, con la contemporaneità?
Stiamo cercando di recuperare l’energia, che si era persa visto che i due fondatori erano invecchiati.

Cerchiamo di avere una visione di lungo periodo. Cerchiamo anche di renderci riconoscibili con un taglio stilistico nei vini e nell’approccio.

Vogliamo che i nostri vini si riconoscano per essere eleganti, con un taglio distintivo.

Sei arrivato a Reggio dalla Sicilia: che cosa ti ha dato l’incontro con questo territorio?

Gli emiliani sono persone molto aperte ed è facilissimo fare amicizia, sono aperte e trasparenti, davvero molto accoglienti. 

Apprezzo tantissimo la loro forma mentis molto orientata sull’export: hanno un grande amore per far conoscere i propri prodotti in giro per il mondo. Questo amore per la propria terra e per farlo conoscere in altre regioni è proprio di questo luogo, non lo trovi dappertutto. Io sono siciliano e il fatto di guardare le cose con occhi diversi e mettere in discussione certi processi che si fanno da sempre, credo abbia aggiunto valore alla tradizione. Per esempio con il nostro bianco fermo da uve Spergola, un vitigno ancestrale abbandonato perché poco commerciale. L’abbiamo recuperato e lo lavoriamo con un procedimento di vinificazione che usiamo sull’Etna. È venuto fuori un vino straordinario.

Questo dimostra che anche in un mondo secolare come quello del vino, abbastanza statico e con tempi lunghissimi si può continuare a fare innovazione creando un prodotto unico.

È molto affascinante proprio per questo.

© Gabriella Corrado / LUZ

Quali sono i valori aziendali che si tramandano nel tempo?
Direi innanzitutto la sostenibilità: questa è stata la prima azienda certificata biologica della zona.  

Dobbiamo far fronte alle sfide climatiche, con stagioni sempre più estreme. Per questo  puntiamo ad avere carbon emission zero, e produrre tutto con biomassa con pannelli elettrici fotovoltaici.  

Produciamo già solo in biologico, e per questo non produciamo anidride carbonica. Il secondo valore su cui puntiamo è l’eccellenza: sia per i vini, che per gli aceti, che per l’ospitalità puntiamo alla massima eccellenza possibile di questa zona.  

Vogliamo riuscire a rendere gli emiliani orgogliosi della loro terra.  

© Gabriella Corrado / LUZ

Come si produce l’Aceto Balsamico Tradizionale? 
L’Aceto Balsamico si può fare solo a Reggio Emilia e a Modena, e si fa dal mosto di uve della zona. Per noi tutto parte dalla stessa uva: facciamo la vendemmia manuale e l’80% di ciò che raccogliamo va per vino, mentre il 20% va a essere cotto in tini d’acciaio nei quali si fa il mosto. Il mosto poi passa a fermentare per 6 mesi nelle botticelle, di legno sempre diverso, per un processo che dura svariati anni. L’aceto più giovane che si può produrre secondo la Dop ha 12 anni ed è il tradizionale aragosta, quello invecchiato 20 anni è l’argento, e poi arriva l’oro invecchiato 25 anni. Oltre a questa linea Dop, con la stessa materia prima invecchiata 4/5 anni, creiamo i condimenti balsamici. 

Il maestro acetaio è un consulente fondamentale che nel periodo dei travasi, da quella più grande a quella più piccola, di solito a marzo, definisce i passaggi per rimpinguare la botte più ampia con l’aceto nuovo: è un’ operazione molto delicata. 

Qual è il valore aggiunto che L’Aceto Balsamico ha offerto per lo sviluppo e per la conoscenza del suo territorio?

L’Aceto Balsamico e questo territorio coincidono, sono la stessa cosa.

Questa è una tradizione più che millenaria del luogo. L’Aceto Balsamico arriva con Matilde di Canossa: suo padre regalò a Enrico VIII questo liquido che faceva passare la tosse.

Era L’Aceto Balsamico, con una tradizione millenaria in questo territorio. Quando un bambino nasce, molte famiglie fanno partire la propria acetaia, così che i giovani la possano portare in dote alla propria metà.

Se il Parmigiano Reggiano per essere prodotto ha bisogno di una struttura, l’aceto invece si può davvero fare in casa, sotto i tetti. Fa parte della tradizione popolare.

L’Emilia in bottiglia

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