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AMBIENTE

Lo sguardo fisso verso la cima

di Susanna Marchini, 28 Luglio 2022
Tempo di lettura: 10 min
Lo sguardo fisso verso la cima

C’è chi la montagna la vive come una saltuaria fuga dalla città, chi la guarda solo da lontano, chi la teme. Federica Mingolla, invece, è una di quelle persone che ha deciso di fare della montagna la sua casa, il suo habitat, la sua felicità. 

Climber professionista e aspirante guida alpina, spende la maggior parte del suo tempo tra le vette della Valle d’Aosta. Sempre in cerca di una nuova sfida, la sua vita si è adattata alla presenza della natura, che impone le sue condizioni e i suoi ritmi. Il rapporto che ne è scaturito, fatto di amore e rispetto, ha portato Federica a dedicarsi non solo ai traguardi più ambiziosi, ma anche alla salvaguardia dell’ambiente che la ospita.

Raccontaci la tua storia. Come è nata la tua passione per l’alpinismo e per l’arrampicata?

Ho iniziato ad avvicinarmi alla montagna quando ero molto piccola sulle vie ferrate. Successivamente, all’età di 15 anni, ho cominciato a scalare in una palestra indoor a Torino, la mia città. Da quel momento, non mi sono più fermata; mi sono riavvicinata all’outdoor iniziando a scalare su roccia; la mia passione è cresciuta sempre di più e mi sono spostata in fretta dalle falesie all’alta montagna. Ormai sono anni che pratico quasi esclusivamente l’alpinismo.

È da qui che nasce il tuo desiderio di diventare guida alpina?

Tutto è iniziato quando mi sono resa conto di quanto amassi stare in montagna e quanto mi trovassi in perfetta sintonia con quell’ambiente. Appena ho compiuto 21 anni, mi sono trasferita in Valle d’Aosta e non sono più tornata indietro. È stata una scelta di vita radicale, ma ne è valsa assolutamente la pena.

C’è stato qualcuno che in qualche modo ti ha spinto ad avvicinarti al mondo della montagna e dell’alpinismo? 

Sicuramente le amicizie che ho avuto hanno influenzato il mio modo di approcciarmi alla montagna. Mi sono sempre lasciata ispirare dalle persone che ammiravo e con cui passavo la maggior parte del mio tempo a seconda dei momenti della mia vita. C’è stato un periodo in cui andavo tanto in falesia con i miei amici che scalavano, uno in cui frequentavo gente veramente appassionata di montagna con cui passavo i weekend in alta quota. Tutte le esperienze che ho vissuto con loro hanno fatto sì che imboccassi questa strada professionale. 

Sei originaria di Torino e adesso vivi circondata dalle Alpi. Cos’è che ti affascina di più dello stare in montagna in un ambiente che non è quello urbano?

La montagna è un mondo a sé, non si può paragonare alla vita “reale”. Ci si immerge in qualcosa di estremamente unico, profondo. È un luogo in cui spesso ci sei solo tu e l’ambiente che ti circonda. Questo è sicuramente benefico anche per il tipo di attività che pratico; la montagna ti fa vivere i momenti molto più intensamente, ti costringe a incanalare il 100% della tua concentrazione e delle tue energie in quello che stai facendo.

Qui si vivono esperienze più emozionanti, da quando decidi di affrontare un progetto fino a che non arrivi in cima.

Insomma, sei nata cittadina e sei cresciuta alpina. La tua vita si divide tra il mondo della natura, scandito da un ritmo più lento e il mondo degli uomini, più frenetico e mutevole. Come vivi il dualismo tra questi due mondi? 

Sono abbastanza allergica alla folla, al caos. In città non mi sentivo a mio agio, invece, in montagna ho trovato la giusta quadra. Per lavoro devo comunque avere a che fare con le persone, ma la maggior parte sono clienti con una passione e un rispetto per la montagna, diversi dalla massa. Mi dispiace però vedere quanto la bellezza della montagna abbia attratto anche un pubblico più cittadino che però la frequenta con superficialità e maleducazione. In generale per tenermi alla larga da questo tipo di pubblico, che tanto mi ricorda l’ambiente cittadino da cui sono scappata, cerco di frequentare le mete meno ambite per ritagliarmi sempre uno spazio wild per me stessa.

Come ti alleni per affrontare un nuovo progetto?

Il mio allenamento per andare in montagna è semplicemente fare attività in montagna. Mi reputo una persona molto dinamica, frequento la montagna non solo per lavoro ma anche per passione. Sono sempre in continuo movimento e tutto quello che faccio è per me anche una forma di allenamento, non ho una tabella rigida da seguire. Quando ho una nuova idea rispetto a un percorso che voglio affrontare, mi prendo il tempo giusto per studiarlo e poi vado direttamente sul posto a provarlo, per testare subito la mia preparazione. 

Qual è stata la sfida alpinistica più entusiasmante che hai affrontato? 

In generale, ogni esperienza che ho vissuto in questi anni ha avuto un impatto particolare sulla mia vita. Con il passare del tempo sono cresciuta e maturata, e quelle che ora riesco a portare a termine in tempi brevi, prima mi sembravano delle sfide insormontabili. Sicuramente una conquista importante è stata scalare la parete est delle Grandes Jorasses pochi giorni dopo aver scalato anche la parete nord. Io ero particolarmente allenata e ho avuto la fortuna di affrontare queste vie con un amico che ha reso tutto molto spontaneo e naturale. Non è facile trovare una persona con cui sentirsi completamente a proprio agio durante un’attività sia faticosa che pericolosa. Noi siamo riusciti a crearci un equilibrio perfetto, siamo stati veloci, nonostante la roccia non fosse facile da scalare e ci siamo divertiti. È un’esperienza che ricordo con il sorriso.

Nel 1911 Paul Preuss ha dichiarato che “la donna è la rovina dell’alpinismo”. Oggi l’alpinismo rimane una disciplina dominata dagli uomini, ma con una forte crescita tra il pubblico femminile. Che cosa significa per te farsi largo in mezzo a una maggioranza di atleti uomini?

È buffo perché di recente questo aspetto dell’alpinismo mi è stato fatto notare più volte, mentre io non ci avevo mai fatto caso. Ho sempre avuto a che fare con gli uomini nella vita, sia lavorando in questo settore, che come amicizie. Per me è sempre stato normale scalare con un gruppo di maggioranza maschile, non l’ho mai vissuto come un fattore negativo. Fino a poco tempo fa non ero mai neanche stata con una donna in cordata. La verità è che non cambia niente, così come io vivo la montagna in un certo modo, mi aspetto che lo facciano anche gli altri che sono con me, indipendentemente dal loro genere.

Non c’è questa differenza che molti si aspettano di vedere, ognuno interpreta a modo suo l’andare in montagna, non è mai stato un ostacolo per me essere una donna in mezzo agli uomini.

Da quando hai iniziato a praticare queste discipline, che tipo di cambiamento hai notato nel mondo outdoor? Hai avuto la percezione che in questi anni si evolvesse? 

Secondo me, una cosa che è cambiata è l’aumento di interesse verso la montagna grazie ai social network. Ora è più facile raccontare le proprie imprese e scoprire chi ha fatto cosa. Infatti, tornando al discorso dell’aumento del pubblico femminile, posso dire con certezza che è stato un fenomeno supportato anche dalla facilità con cui si possono condividere i contenuti. Se prima le donne che compivano imprese eccezionali passavano più inosservate, ora tante vengono quasi mitizzate anche se affrontano dei percorsi con difficoltà minore. Anche il turismo sicuramente ha avuto una crescita considerevole. Posti molto belli e “instagrammabili” sono diventati più accessibili al pubblico generale.

Che impatto ha sulla montagna questo incremento di turisti? 

Da quello che vedo intorno a me, non riesco a definirlo un incremento positivo. Più la montagna viene frequentata da persone non abituate a questo tipo di ambiente, più vedo ampliare una situazione piuttosto critica. Basta vedere l’aumento considerevole di rifiuti e inquinamento. Le persone, tendenzialmente, hanno meno rispetto dell’ambiente in cui non vivono, pensano che siccome sono in valle, lontano dai loro luoghi d’abitudine, non vengano applicate le regole standard di civiltà e convivenza.

Diventare guida alpina significa avere una profonda conoscenza dell’ambiente in cui ci si muove e delle tecniche che lo rendono accessibile in modo sicuro e rispettoso. Secondo te, quali sono i principi fondamentali di cui bisogna tener conto per godersi la natura senza creare un impatto negativo?

Sicuramente un aspetto fondamentale è quello di non seguire il branco, ma i propri ideali. È sbagliato pensare che se qualcun altro lo fa, è giusto che lo faccia anche io. È importante far notare agli altri che stanno commettendo un errore, soprattutto in montagna, che non è solo un ambiente da proteggere, ma anche un ambiente rischioso. Non esistiamo solo noi, questa è una presunzione molto umana che deve decadere. Ci sono sicuramente delle piccole azioni che possono migliorare la situazione. Per esempio, sarebbe bello poter prediligere in queste zone la mobilità elettrica. È ovvio che non sia accessibile per tutti, servirebbe che le istituzioni premessero di più su questi temi e aiutassero concretamente nel cambio. 

Quindi per te che vivi a 360 gradi la natura, che cosa pensi sia importante ricordare a tutti per rispettare la montagna? 

Io penso che come tutti i processi di educazione, anche questo dovrebbe partire da quando si è bambini. Se gli adulti continuano a frequentare delle località a cui non sono abituati, comportandosi come se fossero in città, è certo che i bambini seguiranno questo cattivo esempio. A volte mi sembra ridicolo dover ricordare a delle persone adulte che non devono buttare i rifiuti in terra, non devono salire sui ghiacciai in ciabatte. Mi guardano smarriti, mi sembra che non vogliano neanche recepire il messaggio.

Quanto è necessario tenere conto dell’ambiente circostante in un mestiere come il tuo?

Il modo di andare in montagna sta cambiando molto velocemente perché la crisi climatica sta rendendo alcuni percorsi impraticabili. È evidente che qualcosa sta cambiando e noi ci ritroviamo ad affrontare la montagna in modo diverso.

Alcune salite per esempio è possibile farle solo d’inverno perché poi la temperatura è troppo alta, si stanno aprendo sempre più crepacci, i ghiacciai si stanno ritirando, alcuni anche di centinaia di metri. E questa cosa succede sotto lo sguardo di tutti, non è un mistero. Questo è un aspetto fondamentale per il mio mestiere perché aumenta anche la difficoltà e il rischio per i miei clienti.

Vista la direzione che sta prendendo l’impatto climatico anche negli ambienti di alta quota, che cosa ci può insegnare la montagna?

I fatti parlano chiaro, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di ridurre i danni il più possibile. E per danni non intendo solo quelli che noi facciamo alla montagna, ma anche quelli che la montagna può fare a noi. Quello che sta succedendo sembra essere inarrestabile ormai, noi come essere umani possiamo solo adattarci. Bisogna sempre mettersi in condizione di sicurezza e non affrontare certe salite o discese quando fa troppo caldo, non bisogna mai forzare quello che ormai non si può più fare. Certo, si dice che le ere glaciali ci siano sempre state e che ne arriverà un’altra, ma per il momento possiamo semplicemente ascoltare i segnali che la montagna ci manda.

Hai una visione molto chiara di quella che è la situazione climatica attuale. Secondo te qual è l’errore umano che ha l’impatto più negativo sull’ambiente?

Parlando di quello che vedo tutti i giorni, anche le attività in montagna hanno un impatto. Macchine, funivie, impianti di risalita, sono tutti elementi comodi per l’uomo, ma sfavorevoli per l’ambiente. Ti faccio un esempio, in questi anni si è diffusa sempre di più la pratica dell’eliski; se ogni giorno si sollevano duecento elicotteri solo per portare poche persone in alta quota e riscendere i pendii è un consumo esagerato di gasolio. Però è un’attività dietro la quale c’è un business gigantesco difficilissimo da arrestare, perché comunque c’è gente che ne ha fatto il proprio e unico lavoro.

Qual è il tuo augurio per la montagna del futuro? 

Mi piacerebbe poter vedere le montagne com’erano prima, proprio come si vedono nelle vecchie fotografie dei rifugi: bianche, innevate, senza presenza umana. Pensa che io ormai il Monte Bianco lo chiamo Monte Bruno, non c’è più niente che ricordi com’era una volta. E questo sicuramente è un dispiacere.

Spero che ora, visto che questa situazione non è più una previsione ma un dato di fatto, l’impronta umana si ritiri: meno impianti, meno piste da sci, meno inquinamento in generale. Che la montagna possa riprendersi quello che le abbiamo tolto.

Foto © Lorenzo Morandini

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