COMUNITÀ
A tavola con la storia: un viaggio tra alimentazione e cultura con Giancarlo Signore
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“Anche il saper mangiare fa parte della nostra educazione”: Giancarlo Signore è uno dei massimi esperti italiani di Storia dell’Alimentazione, e a questi studi ha dedicato la sua carriera accademica e di divulgatore. In questa intervista ci racconta l’origine e l’importanza di avere una buona alimentazione, per arrivare alla fatidica domanda: alla fine, siamo quello che mangiamo?
Nella storia dell’uomo il gesto di alimentarsi ha assunto funzioni diverse: ci ha sostenuto, ha stimolato il gusto e l’appagamento del palato, ha dato impulso all’arte – basti pensare che il tratto distintivo dell’arte pittorica di Giuseppe Arcimboldo è la rappresentazione di volti che si compongono di frutta e ortaggi – e ha preteso spesso rigore scientifico, dando adito al dibattito sulla differenza tra mangiare enutrirsi.
Giancarlo Signore, romano, classe 1940, ha dedicato buona parte della sua vita a questi studi, cercando di esplorare il rapporto tra l’uomo e il cibo, sia come fonte di nutrimento che di piacere. Si è laureato in Farmacia, è entrato a far parte del Nobile Collegio-Universitas Aromatariorum, di cui è stato anche presidente (fino al 2007), per poi dedicarsi alla divulgazione, pubblicando diversi libri che esplorano la storia dell’enogastronomia.
Oggi Giancarlo Signore ha 84 anni, ma come sottolinea spesso l’età “è solo un numero, il mio corpo fatica, ma la mia mente è sempre allenata”. Infatti, l’amore per il buon cibo e quello che ha rappresentato per gli italiani rimane una delle sue principali passioni.
Quando ci siamo sentiti telefonicamente il Professore ha scherzato dicendo che, nonostante l’età, si sente vanaglorioso, ha ancora voglia di spiegare la storia dell’alimentazione, fatta di aneddoti da scoprire e di evoluzioni culturali a volte inaspettate, come il grande cambiamento di fine ‘900: i fast food. Ma procediamo con ordine. È dalla storia romana, forse ancor prima, dalla storia etrusca che ècominciato questo viaggio. Anche perché, se è vero che nel nostro Paese il cibo non è mai stato solocibo, ma è soprattutto un modo di condividere e di unire, da chi abbiamo preso questa abitudine?
«È dai tempi degli Etruschi che il cibo viene visto come un momento di condivisione e convivialità.Alcuni storici hanno ricostruito le loro abitudini alimentari sottolineando una grande passione per ilcibo, tanto da consumare pasti due volte al giorno. Un’abitudine all’epoca considerata scandalosa,soprattutto per greci e romani».
Se dagli etruschi abbiamo ereditato il carattere della condivisione, cosa ci hanno tramandato, invece, i romani?
«Vorrei poter dire la quasi totale assenza della carne nella nostra dieta, ma non è così. I romani mangiavano molto grano e solo con l’avvento dell’Impero Romano hanno cominciato a mangiare carne. Sicuramente ci hanno tramandato un modo di dire ancora oggi in uso: “Pranzo luculliano”, che utilizziamo per far intendere che abbiamo mangiato molto.
Lucullo è stato un grande generale romano a cui piaceva molto avere tavole imbandite e ricche di cibi, che arrivavano anche dal Medio Oriente. E ci sono testimonianze di banchetti addobbati a festa alla presenza di Cesare e Cicerone. Proprio di Cicerone abbiamo una testimonianza scritta, che riprende il 15/05/24carattere di condivisione degli etruschi, in cui afferma che un buon pasto non basta se non è accompagnato dalla buona compagnia degli amici».
Dalla convivialità dei pasti, alla dimensione familiare. Quando è avvenuto questo passaggio?
«È un concetto che risale alla fine del ‘900, quando stare a tavola è diventato un piacere familiare.L’alimentazione mediterranea, soprattutto per noi italiani della generazione del Dopoguerra, non si compone solo di pasta e verdure, ma anche del piacere di portare a tavola il frutto del nostro lavoro e condividerlo in famiglia. Si tratta di un concetto più recente, ma storicamente il desiderio di rendere sacro il momento del pasto c’è sempre stato».
Tornando alla carne: a chi dobbiamo, se non ai romani, l’introduzione di questo alimento nella nostra dieta?
«L‘introduzione della carne come abitudine alimentare risale al VI secolo d.C., con l’arrivo dei Barbari. Erano loro a nutrirsi principalmente di cacciagione e, a seguito dell’insediamento di questo popolo in Italia – anche se non era l’Italia di oggi, ovviamente – l’abitudine si è sedimentata. Del resto, i Barbari sono stati uno dei pochi popoli che, giunti in Italia, sono rimasti nelle nostre terre».
Tornando ai giorni nostri, quanto conta nella nostra cultura enogastronomica la qualità?
«Dovremmo studiare tutti un po’ di più, perché c’è bisogno di essere educati al mangiar bene. Se c’è questa educazione ci sono anche le buone abitudini, come quella di tornare a comprare frutta e verdura nei mercati. C’è scritto anche nelle Linee guida della buona alimentazione italiana, in cui si raccomanda di mangiare tutto, ma di avere consapevolezza dei cibi che assumiamo. Faccio un esempio: la vitamina C è presente nelle arance, ma se con quelle stesse arance facciamo una spremutae la beviamo dopo due ore, il valore nutrizionale si perde del tutto»
Alcuni cibi fanno parte di noi da sempre. Ci siamo quasi affezionati, ci ricordano dei momenti o risvegliano delle emozioni. Qual è, per lei, questo cibo?
«Penso al Parmigiano Reggiano e penso a quanto mi piaceva mangiarlo, pezzetto dopo pezzetto, nel Dopoguerra. Era uno dei miei piaceri. Ancora oggi, quando lo mangio, penso alla mia gioventù.Il Parmigiano Reggiano è una perla italiana conosciuta in tutto il mondo e non si tratta solo di un marchio riconoscibile, ma di un alimento fortemente nutritivo, ricco di calcio. Infatti, è il formaggio che più di altri ricorda un farmaco: ha un quantitativo di calcio che serve a tutti, soprattutto ai bambini e alle persone anziane»
Rispettare degli standard di qualità nell’alimentarsi, però, può essere difficile in una routine quotidiana molto frenetica, la quale spesso ci costringe a pasti veloci e frugali. Come siamo arrivati ai fast food e perché tutt’oggi continuano a essere così frequentati?
«Sono convinto che alcune realtà, come quelle dei fast food, siano nate per scimmiottare costumi che non sono nostri e che arrivano da lontano, convinti che quello che esiste al di là dei nostri confini sia sempre meglio. Ma non dipende solo da questo: negli ultimi anni le nostre abitudini sono cambiate drasticamente, se prima il nostro costume era quello di vivere i pasti in famiglia, oggi non abbiamo più tempo per farlo. C’è il lavoro, ci sono gli impegni e sembra sempre di avere poco tempo. Abbiamo fretta, e questa fretta la mettiamo anche nei pasti»
In quest’ottica, quali saranno le abitudini alimentari del futuro?
«Io credo molto nella pasta, è un alimento ideale. La pasta è consigliabile in qualsiasi dieta e addirittura fa dimagrire, sempre se non si mangiano quattro etti di bucatini! Ma 70 grammi di pasta, lo dicono anche le linee guida, fa bene alla nostra salute. Del resto, noi italiani arriviamo almeno agli 80 anni e questo dipende molto dalla nostra alimentazione, quella mediterranea»
È vero che siamo quello che mangiamo?
«La domanda è quasi filosofica. “We are what we eat” che significa? Significa dover rispettare un’alimentazione variegata, sana, attenta alla qualità. In questo senso, se mangiamo bene il nostro corpo è sano e allora sì, siamo quello che mangiamo. Come possiamo arrivare a questo? Dobbiamo imparare a mangiare: il saper mangiare è un’educazione che dobbiamo far nostra».