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EDITORIALE

Alla scoperta dell’Emilia-Romagna in bicicletta

di Enrico Brizzi, 27 Gennaio 2022
Tempo di lettura: 11 minuti
Alla scoperta dell’Emilia-Romagna in bicicletta

Giovannino Guareschi, nella prefazione al primo volume dei racconti di Don Camillo e Peppone, definì affettuosamente l’Emilia “quella fettaccia di terra fra Po e Appennino”; se la conosceva bene, non era solo per via delle sue radici affondate nella Bassa parmigiana, ma perché l’aveva battuta palmo a palmo in bicicletta.
Già una decina d’anni prima, infatti, e precisamente nella torrida estate del 1941, si era preso il lusso di seguire per intero la Via Emilia a cavallo della sua Umberto Dei Superleggera.


Il suo raid ciclistico, porzione principale di un più articolato “giretto” da 1200 chilometri partito da Milano, lo aveva visto entrare nella regione natale varcando il grande fiume alle porte di Piacenza, per toccare una dopo l’altra le città allineate lungo la vecchia strada consolare, giù giù sino a Rimini; lo scrittore poi si era portato a Ravenna e di lì a Ferrara, quindi aveva passato nuovamente il Po, per completare il suo periplo rientrando a Milano attraverso il Veneto e la Lombardia. 


La cronaca di quel viaggio – a tratti tragicomica, in altri passi intrisa di poesia – era apparsa sul Corriere della Sera suddivisa in sei generose puntate, e nel riprenderla in mano oggi ci si ritrova assediati da una tentazione irresistibile di seguire le sue tracce.
Certo, ottant’anni fa il traffico era assai ridotto rispetto ai nostri giorni, e percorrere per intero la SS9 in bicicletta potrebbe risultare frustrante e pericoloso. In compenso, negli ultimi anni sono fiorite in ogni provincia le piste ciclabili, alcune delle quali di media o lunga percorrenza. Nel visualizzarle su una moderna mappa elettronica, è stato naturale assemblarle come tessere d’un mosaico, così da regalarci un’esperienza che rispettasse – se non nell’itinerario, perlomeno nello spirito – quella di Guareschi.


Così abbiamo inforcato la bici anche noi, e da Milano, sfruttando la ciclabile che segue il Naviglio siamo giunti a Pavia; di lì è bastato seguire i segnavia biancazzurri che scandiscono il percorso ciclabile della Via Francigena per arrivare al Po giusto di fronte a Piacenza. Uno spuntino a base di frutta fresca acquistata al mercato di Piazza Cavalli, e la nostra avventura a pedali in terra d’Emilia ha avuto inizio .


La nostra regione è l’unica d’Italia che tragga il suo nome da una strada, e se è vero che in ogni nome si cela un destino, forse è fatale che ci sentiamo a casa nel traversare ogni sua contrada; la sicurezza del fiume che scorre eterno verso l’Adriatico e dell’Appennino che chiude lo sguardo verso Sud ci basta per orientare la nostra rotta.
Da Piacenza abbiamo seguito la pista che corre sopraelevata lungo l’argine maestro, lasciandoci indietro un’ansa dopo l’altra, a nostro agio fra gli orizzonti rarefatti delle golene e i campanili che svettano sul lato opposto a segnalare in distanza i paesi rivieraschi.
Trascurata l’imboccatura del ponte che conduce a Cremona, abbiamo proseguito in riva destra sfiorando Castelvetro e Villanova, quindi ci siamo inoltrati verso l’interno seguendo la riva del torrente Ongina, liquido confine con la provincia di Parma.
La villa di Giuseppe Verdi presso Sant’Agata ha segnato il nostro ingresso nelle terre del grande compositore che furono anche, nel secolo successivo, quelle di Guareschi; dopo una conveniente sosta a Busseto, ci è bastata una pedalata di un quarto d’ora per giungere a Roncole Verdi, dove sorgono a un tiro di voce una dall’altra la casa natale del musicista e il locale che lo scrittore adibì a ristorante, oggi trasformato in casa-museo e presidiato con devozione dal figlio Alberto e dalle nipoti.


Scaglie di Parmigiano Reggiano e salumi del territorio serviti con la torta fritta, tortelli d’erbette e garganella al prosciutto, magari accompagnati da un buon calice di Gutturnio o di Malvasia, ricompensano il ciclista d’ogni fatica, e l’indomani si è pronti a ripartire verso Parma seguendo la pista che costeggia il Taro.


Imboccata la ciclabile che affianca il tratto urbano della via Emilia, l’abbiamo lasciata per concederci un ingresso scenografico in città attraverso il Parco Ducale, il Ponte Verdi e i cortili selciati della Pilotta, quindi abbiamo ricoverato le bici nel garage della locanda prescelta per la notte e ci siamo concessi un pomeriggio da turisti.
Ancora un giorno e, seguendo le indicazioni “Food Valley Bike” verniciate in bianco sull’asfalto delle ciclabili, siamo tornati sul Po per visitare Brescello, col suo museo dedicato a Don Camillo e Peppone, quindi le vicine Gualtieri e Guastalla, gioielli della provincia di Reggio Emilia.
Dopo Luzzara, il paese di Cesare Zavattini, che di Guareschi fu maestro, siamo entrati nell’Oltrepò mantovano, quindi la ciclabile della Secchia ci ha condotti a solcare da nord a sud la Bassa modenese, terra di merende a lambrusco e gnocco fritto; a Mirandola abbiamo trovato l’ultima nata fra le piste d’Italia, la Ciclovia del Sole, che sfrutta il sedime d’una ferrovia dismessa e porta dritti al Pontelungo, che ispirò un grande romanzo a Riccardo Bacchelli e segna la porta d’ingresso a Bologna.
Tortellini e tagliatelle al ragù, cotoletta petroniana e bolliti si sono imposti da sé; l’unica incertezza, alle tavole del capoluogo, può riguardare i vini: meglio guardarsi alle spalle e puntare su un rosso frizzante, rivolgersi alla vicina Romagna con un Sangiovese, o sfruttare l’offerta locale? A ciascuno la propria scelta, l’importante è stare fra amici, e se non c’è musica si può sempre cantare.

La sponda del canale Navile, poi quella del Reno, e siamo arrivati al mare presso Casalborsetti, il più settentrionale fra i lidi ravennati; una notte nella maestosa città bizantina, poi il viaggio riprende attraverso la pineta; ecco la torre del sale di Cervia, ecco le vele ocra e ruggine dei bragozzi all’ancora nel porto canale di Cesenatico, e l’ingresso a Rimini non può che avvenire pedalando sulle pietre vecchie duemila anni del Ponte di Tiberio.
Piada ai sardoncini, cappelletti e strozzapreti con stridoli e guanciale, pescato fresco; sarà vero che la Romagna ha inizio dove nell’accoglierti in casa non ti offrono più acqua ma vino, resta il fatto che alzarsi da tavola rischia di diventare problematico.


Poi ancora la Riviera, di sotto in su, di nuovo Ravenna, e finalmente le piste sterrate che aggirano le Valli di Comacchio con le loro colonie di fenicotteri. La composta bellezza di Ferrara, cantata con malinconica maestria da Giorgio Bassani, ha un che di struggente; da lì non resta che puntare il Delta, dove il grande fiume che ci ha dati il benvenuto in Emilia si apre a ventaglio verso il mare.


Un rumoroso passaggio su un ponte di barche e ce la siamo lasciati alle spalle per intero, la nostra “fettaccia di terra”, regione-femmina madre di scrittori e musicisti, generosa con i suoi ospiti e ancora capace di sorridere, ché a mugugnare e piangere ci pensano già in troppi.

Illustrazione cover © Luca D’Urbino

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