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CIBO

Non chiamateli scarti

di Anna Prandoni, 14 Ottobre 2020
Tempo di lettura: 9 minuti
Non chiamateli scarti

Fabio Romani è un cuoco e patron, che ha fatto del suo territorio un palcoscenico d’elezione, dove con maestria e abilità mette a frutto la lunga tradizione familiare a Vicomero di Torrile, campagna parmense, da trent’anni. La sua è una scelta radicale: ha voluto mettere al centro la terra nella quale vive e lavora, e che con i suoi prodotti gli permette di fare una cucina ricca di storia e di rivisitazioni di ricette antiche.

Con un’attenzione speciale alla corretta destinazione d’uso di tutte le materie prime: che come la cucina di casa insegna, non sono mai scarti ma opportunità per nuovi piatti.

© Francesca Tilio / Scaglie / LUZ

La tradizione è una garanzia di famiglia?

Il nostro è un ristorante familiare, aperto da mio padre nel ’91. L’anno prossimo saranno 30 anni di attività. E dopo tanti collaboratori, sono subentrato io intorno al ’95, quando dopo il diploma in ragioneria ho capito che la mia vita doveva essere qui. Ho iniziato dalla sala, poi ho fatto diversi corsi, mi sono prima appassionato di pasticceria e poi ho preso in mano anche la cucina. Da quando sono arrivato abbiamo ampliato il ristorante e aperto una sala per la banchettistica. L’anno scorso abbiamo fatto una piccola ristrutturazione e ad oggi siamo soddisfatti: il locale ha un bel respiro, mi piace la luce che entra. E d’estate abbiamo anche un giardino dove ospitare nostri clienti.

E oltre alla tradizione familiare, c’è tanta tradizione anche nelle ricette?
Il nostro è un locale tipico al 100%.

Le nostre ricette sono di famiglia, delle nonne, del papà.

Naturalmente un po’ riviste, secondo i criteri attuali. Il senso della ricetta è sempre quello: la tradizione legata ai piatti che proponevamo in famiglia, ma le ricette sono state adattate ai tempi nostri. Se una volta era molto presente la parte grassa, oggi viene privilegiata invece la qualità del prodotto. Se nel guancialino di manzo le nonne mettevano un chilo di grasso, noi usiamo un olio extravergine per far sì che il prodotto sia digeribile. Le persone non vanno più nei campi a lavorare, e dopo un pranzo non devi sbadigliare tutto il pomeriggio!

Qual è la tua ricetta per il riuso?

Abbiamo cominciato più di 20 anni fa a preparare una ricetta che proponiamo ancora oggi. Sono le croste di Parmigiano Reggiano marinate. La preparazione è lunga ma il risultato molto interessante a livello gustativo. La ricetta prevede di bollire con le verdure le croste del formaggio, per un giorno intero. Poi vengono scolate e fatte raffreddare e infine conservate in olio extravergine d’oliva. È un fuori carta che proponiamo ogni tanto, quando riusciamo a ritagliarci il tempo necessario per prepararle, visto che in tutto è un lavoro abbastanza lungo, che richiede tre giorni di lavorazione. Il buono è che questo processo rende morbide e tenere le croste: la piacevolezza finale è dovuta alla morbidezza. In alternativa, come da tradizione, le croste vengono usate nei minestroni o nel brodo.

Il riuso in cucina è anche un rischio, bisogna fare molta attenzione: sicuramente si possono riutilizzare tante cose, ma senza che il prodotto finale ne risenta.

Ci sono tanti scarti nella cucina di tradizione?

Io devo dire che scarti non ne ho: ho una destinazione d’uso. Facendo tanta griglia, per esempio, ho le parti delle tagliate, la copertina, e le metto nel brodo per averlo più saporito.

Per me è questo il senso del recupero, ottimizzare i processi di lavorazione.

In realtà noi per fortuna non abbiamo tanto scarto, perché la cucina della tradizione è legata proprio a questo principio: in casa non si buttava via niente! Tutto ha un suo utilizzo e una destinazione d’uso, non li chiamerei nemmeno “scarti”.

È cambiato qualcosa, per voi, dopo il lockdown?

Il lavoro è cambiato tantissimo. Sono cambiati la tipologia di somministrazione e i consumi. Prima avevamo un ricchissimo buffet di antipasti, con 60 proposte al banco. Negli anni ci siamo accorti che le persone si sono rivolte di più alla tipicità, e il buffet è andato scemando. Alla fine anche spinti da queste nuove leggi l’abbiamo tolto, ma anche quando si potrà, non ho intenzione di riprenderlo. I clienti oggi mangiano anche una cosa in meno, ma pretendono la qualità assoluta.

Come si racconta e si protegge il territorio?

Noi lavoriamo con i cittadini di Parma, siamo in campagna, appena fuori, e abbiamo creato il momento aperitivo con musica in sottofondo, una proposta easy per tutti con solo prodotti del territorio. Il nostro menu è legato alla nostra terra: torta fritta, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, paste fresche all’uovo, lunghe cotture della tipicità. E dopo il lockdown abbiamo fatto una scelta radicale: usiamo solo ed esclusivamente prodotti italiani, anche in cantina. Ho abbandonato del tutto i grandi distillati stranieri e le bottiglie che vengono dall’estero per fare una scelta tricolore. Per me è premiante: c’è il cliente che non capisce e quello che è piacevolmente colpito, si va a sensazione. Ma ritrovare gli uvaggi del territorio e premiare questa terra per me è fondamentale. So che siamo un’isola felice, e di sicuro questa scelta di premiare le produzioni locali ci caratterizza.

© Francesca Tilio / Scaglie / LUZ

E il Parmigiano Reggiano quanto è presente?

Il Parmigiano Reggiano è presente da sempre in tutti i nostri primi piatti e lo usiamo in diversi secondi. E c’è una entrée che lo esalta al meglio, secondo me: un panino che raccoglie tutte le filiere. È un pane artigianale scottato nel burro che fa la crosticina molto piacevole, condito poi con una maionese artigianale fatta in casa, con l’olio delle acciughe piccanti Rizzoli. Ci mettiamo un burger con una carne macinata di alta qualità prodotta qui, del porro stufato e una cialda di parmigiano a dare correntezza. A completare, qualche foglia di insalata e una fettina di Crudo di Parma 30 mesi. Per me, è uno spettacolo.

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