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La tradizione delle rezdore

di Valentina Ecca, 10 Giugno 2020
Tempo di lettura: 7 minuti
La tradizione delle rezdore

Gianni Degli Angeli è il presidente dell’Associazione La San Nicola (Castelfranco Emilia – provincia di Modena), emiliano doc e memoria storica di un mondo che, grazie alla sua associazione, non scompare. Con lui abbiamo parlato della mitica figura della rezdora, di come queste donne fossero fondamentali nelle antiche comunità rurali e di come, ancora oggi, rappresentino un punto saldo per la tradizione emiliana. 

Cos’è una rezdora e cosa significa questo termine?
La rezdora è la “reggitrice”: una volta si veniva tutti dalla campagna dove esistevano famiglie estremamente numerose, c’era il capo famiglia e c’era la rezdora, che di solito era la moglie. Reggeva l’andamento della casa, sotto di lei c’erano tutte le altre donne: le famiglie, all’epoca erano composte anche da 20 – 30 persone. Essendo la moglie del capo, lei conservava le chiavi della “spartura” cioè il posto dove si teneva il pane. La rezdora si occupava degli animali, andava al mercato a vendere i prodotti della propria terra e si occupava della spesa quotidiana per permettere alla famiglia di mangiare. Era una persona estremamente importante. 

Lei che ricordi ha delle rezdore del passato?
Io ricordo ancora un episodio accaduto negli anni ’60, quando andai a visitare una mia zia che si era sposata, sorella di mio papà, in questa casa di campagna. Ricordo che c’erano 28 persone, facevano parte tutti della stessa famiglia. Erano una vera e propria comunità, per questo era davvero necessario che ci fosse una persona che gestisse tutte le altre.

Dalla rezdora dipendeva l’armonia della comunità.

Quanto è ancora presente e forte la figura della rezdora nel territorio emiliano?
Adesso questa figura non esiste quasi più, molte famiglie si sono allontanate dalle campagne, si sono divise per venire fuori da gruppi così numerosi. Man mano questa figura è andata, se non a sparire, ad avere un significato diverso.

Si è trasformata nella donna che ha “i saperi e i sapori” della tradizione. Colei che porta avanti la cultura dei nostri nonni e delle nostre nonne. Adesso simboleggiano la tradizione della nostra terra.

Quali sono le ricette più antiche che raccontano questo territorio?
Queste signore portano avanti le ricette della cucina povera che c’era un tempo, per esempio la pasta e fagioli, le crescentine, una volta in campagna tutte le mattine la rezdora le friggeva e le portava con dei cipollotti a quelli che lavoravano nei campi. Poi tutti i piatti a base di sfoglia, perché era poco costosa. Si facevano molto i maltagliati, meno le tagliatelle col ragù perché la carne non si mangiava spesso. Si facevano i quadretti in brodo con la cunza (delle piccole palline di carne). La minestra che chiamavano “vedova”, perché non c’era dentro praticamente niente, poi la polenta… tanta polenta.

Una cosa straordinaria che si faceva uno o due volte l’anno era la preparazione dei tortellini: si facevano la sera, quando c’era tutta la famiglia riunita, la rezdora tirava la sfoglia, e tutti insieme, donne e uomini, aiutavano a chiuderli.

Poi si mettevano a riposare in una stanza fredda, coperti da un canovaccio e di solito il giorno dopo si mangiavano. Qui a Castelfranco Emilia è ancora un rito la preparazione dei tortellini.

In che modo state tramandando la tradizione della rezdora alle generazioni future?
Noi, come Associazione La San Nicola, abbiamo fatto una raccolta di ricette castelfranchesi proprio per evidenziare e portare avanti le preparazioni tradizionali dei nostri piatti tipici.

Abbiamo raccolto più di 300 ricette e il prodotto che non manca mai è il Parmigiano Reggiano, anche in quelle in cui ci sono delle variazioni questo prodotto è sempre presente. 

Organizziamo tutti gli anni i corsi dell’arte gastronomica, uno dei più seguiti è quello in cui insegniamo come il tirare la sfoglia, che è l’elemento base della nostra tradizione culinaria.

Il saper tirare la sfoglia con il mattarello è proprio l’elemento che identifica la figura della rezdora.

A causa del Covid-19 molte sagre e momenti di aggregazione sono saltati. Come l’Associazione La San Nicola mantiene viva la propria missione anche in questo momento?
La nostra associazione è presente sul territorio da 38 anni, partecipiamo e organizziamo eventi, quello più importante è la sagra del tortellino che ogni anno attira migliaia di persone. L’anno scorso siamo riusciti a produrre più di duemila chili di tortellini, tutti cotti e serviti in brodo di cappone. Realizzati secondo il metodo antico con la sfoglia tirata dalle nostre “sfogline” con il mattarello e tutti i tortellini confezionati a mano. L’anno scorso abbiamo “sfamato” più di diciottomila persone. Quest’anno sarà diverso ma proveremo in tutti i modi ad esserci, magari organizzando delle semplici degustazioni.

Illustrazione in copertina © Federico Tramonte / LUZ

La tradizione delle rezdore
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