BENESSERE ANIMALE
Lipu e la salvaguardia degli uccelli e della biodiversità
Tempo di lettura: 5 minuti
La storia di LIPU e le sfide del prossimo decennio per la salvaguardia del capitale naturale, con l’esempio pionieristico della cooperazione con il Consorzio del Parmigiano Reggiano.
«Perché tacciono le voci della primavera in innumerevoli contrade d’America?».
Con una domanda inquietante, la biologa e zoologa statunitense Rachel Carson cominciava il suo trattato più famoso, “Primavera silenziosa”, nel 1962.
In un solo colpo, la scienziata lasciava la sua impronta nella coscienza profonda degli Usa che andavano verso il ’68 (quello che tra tante cose ha impresso nell’immaginario collettivo l’idea un po’ hippy e naïf di una nuova connessione tra uomo e natura); ne rendeva più concreta l’essenza, però, cambiando per sempre l’approccio all’agricoltura che metteva finalmente al bando fitofarmaci tossici come il Ddt. E avviava una seria riflessione sul senso dell’ecologia e delle azioni concrete che si potevano realizzare perché le attività umane non nuocessero mortalmente all’uomo stesso.
La Lipu e i suoi pilastri
Tre anni dopo l’uscita del saggio di Carson, nella primavera del 1965, il naturalista, etologo e filosofo Giorgio Punzo si appresta a leggere il giornale sul terrazzo di casa, nella sua Napoli. Indignato per la notizia della ripresa della stagione venatoria, osserva commosso un passero solitario posarsi accanto a lui. È la sua epifania: il suo modo per opporsi al declino culturale rappresentato dalla caccia in un mondo fragile è aprire l’associazione di volontariato Lenacdu, Lega nazionale contro la distruzione degli uccelli. Le prime tre sedi sono nel capoluogo partenopeo, a Roma e a Firenze.
L’associazione entra a far parte di una prestigiosa rete internazionale: The International Council for Bird Preservation (Icpb), fondata nel 1922, dunque fresca centenaria, oggi denominata BirdLife International.
Nel 1971 arriva l’iconico logo dell’upupa, disegnato dal Fulco Pratesi, fondatore del WWF Italia. Nel 1975 si passa alla sigla attuale, LIPU, più semplicemente Lega italiana protezione uccelli. Oggi Casa Lipu ha sede legale a Parma e conta circa 30 mila sostenitori, 1500 volontari e gestisce una trentina di riserve naturali in tutto il territorio nazionale. Il presidente è Aldo Verner, il direttore generale Danilo Selvaggi.
Con Claudio Celada, direttore dell’area Conservazione natura per l’associazione, abbiamo dialogato sulla mission e sulle azioni che Lipu mette in campo per la conservazione degli uccelli, in un contesto sempre più complesso e critico, in cui molto spesso la Lega italiana per la protezione degli uccelli ha trovato la sponda di enti pubblici e di aziende. Primi fra tutti, il Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano, pionieri in un campo di studio fondamentale per lo sviluppo sostenibile in Italia.
Claudio Celada è nella Lipu dal 2000. Prima di allora, per cinque anni, ha conseguito un PhD in Conservation ecology alla University of Alberta, in Canada.
«I pilastri dell’azione della Lipu sono la conservazione degli uccelli e della biodiversità e l’aspetto della sensibilizzazione e dell’educazione ambientale. Da questi temi fondamentali derivano tutte le nostre strategie d’azione».
L’impegno della Lipu contro il bracconaggio e la caccia
«Un paradigma del funzionamento della Lipu nel contesto internazionale di BirdLife è quello della conservazione degli uccelli migratori», spiega Celada, «perché i volatili attraversano confini di tutto il mondo, quindi un’azione cooperativistica è fondamentale. Noi cerchiamo di mitigare tutte le minacce cui sono sottoposti nel loro duplice viaggio annuale».
Seguire la rotta di un uccello migratore può servire proprio per fare affiorare tutte le criticità ambientali che il mondo deve affrontare di questi tempi.
Ma qual è il primo problema da affrontare nella tutela degli uccelli migratori?
«Anzitutto la loro uccisione mirata e illegale: il fenomeno del bracconaggio. Secondo gli studi scientifici di BirdLife, solo in Italia questo fenomeno miete da 5 a 7 milioni di vittime. Ed è ancora molto diffuso in Italia. Nei siti maggiormente impattati da questo fenomeno portiamo avanti severe attività di contrasto all’illegalità, in stretta collaborazione con le istituzioni e con le forze dell’ordine, ma ci adoperiamo anche per sensibilizzare la popolazione, perché è anche un tema culturale e se non si agisce su quel campo; l’azione di repressione da sola non basta. Per esempio, in uno dei cosiddetti black spot (le aree più critiche per il bracconaggio), nel sud della Sardegna, con un liceo artistico di Cagliari abbiamo portato avanti una bella iniziativa di coinvolgimento degli studenti che hanno realizzato un murales sul tema con l’aiuto dell’artista Manu Invisible».
Sul bracconaggio, che è un’attività illegale, potremmo essere d’accordo tutti, ma che senso può avere perseguire l’attività venatoria, dunque legale, quando la scarsità e i cambiamenti climatici mettono a rischio la vita di tutti, uccelli compresi?
«Chi è socio della Lipu non può essere a favore della caccia, una pratica arcaica da abbandonare. Ma la direttiva europea ‘Uccelli’, così come la legge nazionale in materia, la prevedono e consentono, ma noi sappiamo che la situazione è drammaticamente cambiata negli ultimi decenni. In particolar modo per i migratori a lungo raggio, che spesso sono oggetto di caccia, ma anche per le specie alpine come la pernice bianca, la coturnice o altre che sappiamo essere davvero in grave difficoltà.
E, soprattutto, sappiamo che gli scenari climatici per il futuro sono pessimi, quindi ci saranno degli ulteriori cali nella popolazione aviaria. Dunque, al di là delle considerazioni di ordine etico e di sensibilità personale che uno può fare, un ragionamento meramente ecologico e di sostenibilità demografica rende evidente che la maggior parte delle specie cacciabili, non lo sono in modo sostenibile».
E come è possibile contrastare questo andamento?
«Ogni anno dobbiamo investire tempo e risorse nostre per fare ricorsi contro i calendari venatori delle Regioni, che continuano a prendere delle decisioni palesemente squilibrate da un punto di vista pro-caccia, cioè sembrano ignorare il fatto che c’è un progressivo deterioramento dello stato di conservazione di molte specie».
Non mi sembra comprensibile, e dunque spiegabile, questo sbilanciamento delle Regioni. A chi conviene?
«Questa è la domanda sulla quale vogliamo lavorare nei prossimi dieci anni, perché ci rendiamo conto che sarà molto difficile sradicare una cultura molto presente a livello regionale, anche se non mancano eccezioni positive. In questo senso, noi parliamo di zona grigia, qualcosa che formalmente è legale, ma ecologicamente non ha nessun senso. E il lavoro dei prossimi anni è fare uscire dal grigio queste dinamiche e portarle in un ambito di solidità scientifica».
I danni dell’agricoltura intensiva per gli uccelli e la proposta sostenibile della Lipu
Un’altra grande minaccia è l’agricoltura intensiva: «ha di fatto ridotto molte specie che di solito abitano gli ecosistemi agricoli, perché ne ha distrutto il cibo. C’è stato un vero tracollo della disponibilità di insetti, poi sono venuti meno anche i siti idonei alla nidificazione».
Per questo motivo la Lipu ha una linea di lavoro sulla Pac, la politica agricola europea, perché l’obiettivo è duplice: «da un lato far sì che la Pac possa ridare spazio alla natura, e dall’altro non abbandonare gli agricoltori, dal punto di vista della salute, della sostenibilità sociale ed economica del loro lavoro».
La collaborazione tra Lipu e Parmigiano Reggiano
Proprio per verificare la sostenibilità delle produzioni agricole a servizio del Parmigiano Reggiano si è sviluppata un’innovativa collaborazione della Lipu con il Consorzio.
Parmigiano Reggiano ha acconsentito a uno studio degli ecosistemi sui terreni del territorio del Consorzio. Racconta Claudio Celada: «Abbiamo incontrato la sensibilità dell’azienda già nel 2009, quando realizzammo lo studio regionale che cominciava a sancire una riduzione dell’avifauna agricola locale già significativa, e che oggi si attesta intorno al -37% del Farmland Bird Index – cioè le condizioni di abbondanza dell’avifauna in ambito rurale. Significa che in questi ultimi venti anni ci sono il 37% di uccelli in meno che abitano le zone agricole. Un dato molto pesante che riguarda soprattutto le specie che nidificano o si alimentano a terra e che rappresenta un vero e proprio collasso ecologico. Si tratta di specie peculiari come l’allodola, il saltimpalo, la pavoncella. Sono diminuite drasticamente, così come altre specie che hanno bisogno di siepi o di un mosaico di boschi e zone aperte, come anche la tortora, l’upupa, il torcicollo».
E dallo studio con il Consorzio del Parmigiano Reggiano che cosa ne è risultato?
«Quello che abbiamo visto in quello studio è che nell’area del Consorzio del Parmigiano Reggiano i prati stabili e medicali sono più abbondanti rispetto ad altre aree di controllo esterne, e quindi c’erano più uccelli in termini di diversità di specie, come il già citato saltimpalo e il cuculo. Poi c’era un focus sulla specie dello strillozzo, uno zigolo delle zone aperte; un focus sulla rondine, per la cui prosperità entrano in gioco anche le caratteristiche delle stalle dove sono tenuti gli animali, che devono essere aperte per poterle accogliere».
«All’interno dell’area del Consorzio le cose andavano meglio che altrove nei termini della diversità di specie, abbondanza e specie target. Le aree del Parmigiano Reggiano presentano, dunque, un maggiore spazio per la nidificazione a terra, che può sempre essere ampliato, una gestione sempre più virtuosa dello sfalcio, più attenta a non distruggere gli habitat dei nidificanti. Inoltre, un sempre minore uso di pesticidi ed erbicidi permette maggiore prosperità. Date queste ottime premesse, negli anni ci aspettiamo un sempre maggiore progresso nelle aree del Consorzio, in un quadro ecologico migliore di altri, soprattutto in pianura».
La Lipu e il contrasto al cambiamento climatico
Trattare della conservazione degli uccelli e delle loro migrazioni senza parlare del cambiamento climatico è come ammirare la bellezza di un’upupa e poi piantarle un colpo di doppietta: non ha senso.
«Le modalità con le quali il cambiamento climatico incide sulle migrazioni e sulla vita degli uccelli ha spinto BirdLife a sollecitare interventi urgenti per limitare i danni prima della catastrofe, come sottolinea l’ultimo rapporto State of the World’s Birds 2022».
«Per via del cambiamento climatico, per molte specie la migrazione viene posticipata e questa variazione temporale può comportare la drastica diminuzione della disponibilità di cibo, sia per chi viaggia sia per chi si riproduce. Viene meno anche la sincronia tra il ciclo di vita degli insetti e quello degli uccelli».
«Poi ci sono le specie non migratrici. Il cambiamento climatico si avverte in modo più drastico sulle catene montuose, e sulle Alpi il surriscaldamento è il doppio della media globale. Questo implica che le specie tipiche degli ambienti aperti, come i pascoli, siano a rischio, perché il limite arboreo aumenta di quota, cioè i cambiamenti climatici fanno sì che gli alberi crescano dove prima non arrivavano, invadendo gli spazi aperti al pascolo».
«Allo stesso tempo, i pascoli non possono salire di quota, perché incontrano un substrato roccioso che non è idoneo ad accogliere nuovi habitat pascolivi. Ne risulta un problema mortale per specie come la pernice bianca, il fringuello alpino, lo spioncello e il sordone».
«Per queste specie abbiamo elaborato uno studio internazionale in ambito panalpino e siamo stati in grado di individuare quelli che saranno i cosiddetti rifugi climatici nei prossimi decenni, cioè quelle aree che manterranno la loro idoneità a ospitare le specie a rischio. In questo senso, quello che si cerca di fare è di mappare come questi habitat nel futuro saranno distribuiti, e come le specie che dipendono da questi ambienti aperti potranno continuare a sopravvivere».
Avete ottenuto dei buoni risultati?
«Nel report di BirdLife si evidenzia la drammaticità della situazione, che ha portato il mondo a perdere in 20 anni specie che erano sul pianeta da 30 milioni di anni, ma anche la possibilità di invertire ancora la rotta con le buone pratiche di habitat restoration, che almeno in Europa dovrebbero riportare la situazione a livelli soddisfacenti entro il 2030».
«Per molti aspetti della sostenibilità ambientale stiamo superando la soglia di non ritorno e le soluzioni non possono essere del vecchio modello business as usual. Bisogna ristorare il nostro capitale naturale il più velocemente possibile».
Foto di copertina e galleria © Antonio Mantovani
Foto naturalistiche © Davide Brozzi e Luigi Sebastiani