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La storia millenaria dei prati stabili

di Lucia Adanti, 29 Luglio 2022
Tempo di lettura: 10 min
La storia millenaria dei prati stabili

Nel corso dei secoli, il mondo dell’agricoltura si è modernizzato sempre di più, tanto che molte delle attività che prima richiedevano tempi lunghi e l’impiego di molte braccia, oggi vengono svolte facilmente anche da una sola persona. Ma la modernità, pur avendo cambiato molte delle produzioni del nostro paese, non è riuscita a intaccare i prati stabili, tappeti erbosi composti da piante spontanee, che richiedono il minimo intervento dell’uomo per crescere e proliferare.

Con oltre 70 varietà diverse di piante erbacee, il prato stabile rappresenta un ecosistema unico di biodiversità sul territorio, il cui foraggio, da più di 1000 anni, viene impiegato come principale fonte di alimentazione delle bovine da latte del Parmigiano Reggiano.

Questo sistema, che ancora vive di meccanismi naturali, è preziosissimo perché permette di produrre un formaggio unico, dal sapore autentico proprio come si faceva una volta.

Matteo Catellani, proprietario dell’azienda agricola Grana D’Oro di Cavriago, ancora alimenta i suoi animali con questo foraggio unico che lui stesso produce da quasi 40 anni. In questa intervista ci ha raccontato quanto sia importante continuare questa coltura per tenere viva la tradizione, tutelare l’ambiente e gli animali, e produrre un Parmigiano Reggiano di grande qualità.

Nonostante la loro storia millenaria e la straordinaria importanza, i prati stabili non sono così conosciuti. Cosa si intende esattamente con il termine “prati stabili”?

Un prato stabile è un manto erboso che non ha subito alcun intervento di aratura o dissodamento, non viene coltivato ma lasciato a vegetazione spontanea per moltissimi anni, addirittura centinaia.

È definito “stabile” proprio perché il suo ciclo naturale non viene mai rotto.

È composto da erbe che si autogenerano, cioè vanno in semenza e, una volta cadute, si autoseminano per poi rinascere da sole. Sono prati che non vengono mai arati perché di fatto questo cotico erboso rimane sempre perenne e c’è solamente bisogno di tenerli irrigati frequentemente e provvedere a un minimo di concimazione.

E si trovano nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano, corretto?

I prati stabili non sono così conosciuti, perché tutto sommato sono circoscritti ad una piccola area del territorio italiano: in Emilia Romagna si trovano adiacenti alle zone alluvionali come quelle lungo il fiume Enza. Lì, quando il fiume straripava, depositava quello strato di terriccio al di sopra delle ghiaie dove si sono formate queste praterie.

Per questo sono antichissime in queste zone, la loro formazione risale a mille anni fa. Poi però col tempo, si è iniziato a perfezionare il sistema di irrigazione e sono stati arginati fiumi e torrenti, costruendo i vari canali e linee di irrigazione; a partire dal 1460 si è cominciato anche a livellare gli appezzamenti e irrigarli periodicamente. In questo modo, si è formato questo particolare cotico erboso ricco di piante, il cui foraggio veniva utilizzato per l’alimentazione degli animali.

Quali specie di piante compongono un prato stabile?
Gli studi condotti sui prati stabili rivelano che per ettaro si contano circa tra le 60 e le 70 varietà di erbe diverse, di tipo stagionale. Non crescono mai tutte in una volta, ma si riproducono in varie fasi dell’anno. L’80% delle piante dei prati stabili sono graminacee e leguminose, ma sono numerose anche le essenze prative di altre famiglie. Ci sono erbe tipo il loietto che si presentano al primo sfalcio, mentre il trifoglio, la pastinaca, l’oriola e altre erbe le troviamo frequentemente al secondo e terzo sfalcio. Quando si va verso la stagione più calda ci sono anche le infestanti come la cicoria e, tra agosto e settembre, si riproducono e germogliano; in questo periodo si presenta anche il ranuncolo.

Perciò il prato stabile, nel suo complesso, è composto da una ricca varietà di erbe ma, essendo presenti solo in alcuni momenti dell’anno, i foraggi ricavati dai vari sfalci devono essere mescolati.

Tra le varietà di erbe che compongono il prato stabile, quali sono quelle più preziose per la nutrizione e il benessere degli animali?

Sicuramente la festuca, come anche il trifoglio, e tutte le sue varietà sono quelle che danno più apporto proteico agli animali. In generale però non è la singola pianta in sé a essere preziosa ma è il miscuglio del prato, dove c’è sia la parte proteica sia la parte più legnosa. Questo mix garantisce un apporto nutritivo equilibrato all’animale che può mangiarne in abbondanza, senza avere nessuna difficoltà nella digestione. Diciamo che tutto l’insieme è molto prezioso per l’animale, per questo motivo, quando i prati vanno in sofferenza o si trovano solamente poche varietà di erbe, l’animale mangia poco volentieri. Per esempio quando è presente solo il loietto, ecco in quel caso l’animale mangia poco volentieri, mentre invece se c’è del trifoglio e dell’oriola, allora mangia con più gusto.

Non ci sono erbe più preziose di altre ma è importante che siano presenti tutte per dare il giusto mix nutritivo e, soprattutto, per renderlo più appetibile.

Questo specifico tipo di coltivazione affonda le sue radici nel periodo pre-industriale, ci può raccontare la nascita e l’evoluzione di questa tecnica di cultura?

Nella nostra zona i prati e le praterie nascono sulle aree alluvionali e le esondazioni dei fiumi hanno dato origine allo strato di terriccio fertile che ha favorito la nascita di questa particolare coltura. Tra il 1000 e il 1200 d.C. sono sorti tanti piccoli allevamenti in prossimità di queste aree e, grazie agli animali, la concimazione avveniva in modo regolare. I frati benedettini, presenti nella zona, si sono interessati alla classificazione delle varietà di piante presenti, cosa che aiutato molto a preservare le stesse specie ancora oggi.

Il binomio tra una concimazione organica, che ha reso molto fertile il terreno, e un’irrigazione da monte, che ha trasportato a valle le semenze degli Appennini, ha fatto sì che queste erbe nascessero rigogliose e in maniera spontanea.

E qual è quindi il ruolo dell’irrigazione?

L’irrigazione è un fattore che ha inciso fortemente sulla nascita dei prati stabili: fin dal XII secolo sono stati arginati e regimentati i fiumi e torrenti con sorgente in montagna, che in precedenza annegavano la pianura per portare fertilità ai prati stabili. Oggi, su questo territorio, sono presenti dei Consorzi irrigui secolari: uno fra tutti il canale artificiale costruito dal duca Borso d’Este a partire dal 1462, con lo scopo di incanalare le acque dell’Enza per l’irrigazione di tutta questa area. Così, grazie a questa innovazione, è cominciata l’irrigazione regolare anche durante il periodo estivo in tutta l’area. Questo ha permesso che queste erbe si potessero mantenere il più possibile durante l’anno: dove c’è del trifoglio significa che c’è tanta acqua mentre il loietto si trova dove ce n’è meno.

Il fatto di aver abbinato questi prati all’alimentazione delle bovine da latte, prodotto utilizzato nelle produzione del Parmigiano Reggiano, ha dato dei risultati straordinari perché il latte ha delle caratteristiche totalmente diverse rispetto a un altro tipo di alimentazione.

L’alimentazione del bestiame con foraggio proveniente dal prato stabile, rende il latte diverso. Ci può spiegare su quali caratteristiche incide e perché è così importante per la produzione del Parmigiano Reggiano?

Per produrre il Parmigiano Reggiano, proprio come si faceva una volta, è fondamentale nutrire le mucche con un prato stabile, perché riesce a rispondere alla naturale esigenza alimentare dell’animale. Infatti, prima della pastorizia, l’animale al pascolo si nutriva delle erbe che crescevano in un preciso momento in campagna; perciò a primavera, trovava una foraggera molto variegata e con parecchi fiori, mentre in estate-autunno meno.

Inoltre, una volta che l’animale si nutre con foraggio da prato stabile, trasferisce degli odori e sapori al latte stesso. E a sua volta, il latte, una volta lavorato, trasferisce quegli odori e sapori al prodotto finito e rimangono distinguibili al palato, proprio a livello sensoriale al momento dell’assaggio. L’influenza dell’alimentazione sulle caratteristiche del prodotto è palese quando si hanno animali della stessa razza ma alimentati in zone diverse o in periodi diversi. È sicuro che  il formaggio avrà due sapori diversi, le risposte organolettiche saranno diverse.

Con il prato stabile si ottiene un formaggio più dolce, con un bel colore giallo paglierino che si trasferisce quando si prende in mano il Parmigiano Reggiano.

Poi anche in fase di produzione si notano delle differenze: il grasso del latte si spurga meglio, perciò anche la lavorazione diventa più sicura, perché bene o male, è meno probabile che insorgano batteri che vanno a creare dei problemi durante la fermentazione.

Mantenere questo tipo di alimentazione tradizionale, dove l’erba in un momento trasmette alcune caratteristiche piuttosto che altre, e che rispecchiano proprio il periodo in cui gli animali sono stati nutriti, è uno dei punti di forza del formaggio che produciamo, che non è industrializzato ma è ancora oggi un prodotto rigorosamente artigianale. Però diventa molto più difficoltosa la produzione, perché sta nell’abilità del casaro saper seguire la giusta lavorazione. Questo mondo ancora così artigianale è ciò che stupisce di più le persone che vengono a visitare la mia azienda.

E quale aspetto meraviglia maggiormente queste persone?

Spesso e volentieri, chi ci viene a trovare rimane un po’ stupito perché è convinto che avere un’azienda agricola oggigiorno sia una cosa molto più semplice rispetto al passato. Ma loro non sanno che qua di semplice non c’è niente! Le tecniche che utilizziamo sono ancora molto complesse. Da un lato, è vero che ci siamo evoluti molto, ad esempio per quanto riguarda la tipologia di strutture e di impianti, la modalità di gestione della mandria è quasi del tutto computerizzata tanto che lo stato di salute dell’animale viene seguito tutti i giorni. Facciamo un monitoraggio rigoroso dell’alimentazione e del dosaggio delle miscele; i piatti di mungitura moderni sono in grado di riconoscere anche le caratteristiche del latte, rilevando se la conducibilità è alta, un dato importantissimo perché indica un problema di cellule e quindi si va a indagare sulla salute dell’animale. Ecco tutta questa meccanizzazione porta a dei vantaggi notevolissimi per chi fa questo mestiere. Però, se si vuole abbinare ancora un’alimentazione tradizionale – che è fondamentale per avere un prodotto che corrisponda alle caratteristiche uniche del Parmigiano Reggiano – allora si devono conciliare questi due mondi: la tecnologia moderna con le tecniche del passato.

Chi vuole mantenere la qualità e la tradizione deve fare i conti con questo aspetto mentre chi vuole produrre e basta, si mette nelle mani di processi industrializzati che portano via molto meno tempo e sono anche molto più comodi, però il prodotto finale è molto più standardizzato. Noi invece cerchiamo di farlo come una volta, con un’attenta cura nella selezione dello sfalciato giusto che non sia né troppo vecchio né legnoso, ma che abbia ancora una fioritura appena sbocciata e fresca, stivato con attenzione.

Come si trasforma la coltivazione del prato stabile in foraggio per le mucche?

Il foraggio non è tutto uguale ma è prodotto in quattro momenti dell’anno in cui il prato viene sfalciato. Il “primo taglio” consiste nella prima volta dell’anno che si va a falciare il prato, e avviene verso la fine della primavera, di solito a maggio. È il momento in cui c’è più erba, tanto che questo taglio garantisce una produzione di foraggio annuale del 50%. Questo è anche il periodo dove ci sono più varietà di erbe e con più nutrienti perché grazie alle piogge e temperature miti hanno avuto tutta la primavera per nascere, crescere e maturare.

Questo taglio, una volta sfacciato, viene lasciato essiccare, portato via e messo a dimora.

Dopodiché sono necessari all’incirca 40 giorni affinché le erbe che compongono il prato possano crescere e fiorire di nuovo. Il secondo taglio quindi avviene alla fine di giugno, il terzo sfalcio cade tra la fine di luglio e inizio agosto, infine il quarto è a settembre. Tra uno sfalcio e l’altro, il prato si tiene irrigato seguendo tutte le indicazioni dovute.

Dato che non sono previste né semine né arature, come si preserva e propaga un prato stabile?

Dato che il processo non prevede l’utilizzo di sistemi tecnologici né chimici, un elemento fondamentale per preservare e poi ampliare un prato stabile è la pazienza. Per preservarlo, una parte delle erbe del prato stabile viene lasciata fiorire e poi sfiorire affinché possa creare dei nuovi semi che, una volta caduti, con il giusto apporto idrico e luce solare, germogliano dando vita a un nuovo prato stabile. È a tutti gli effetti un processo di autosemina e autogenerazione: per questo motivo un prato stabile non si deve arare, altrimente andrebbe eliminata tutta la varietà di semi fondamentale per la sua rigenerazione.

Per favorire la crescita e la propagazione vengono fatte delle concimazioni regolari con il letame bovino, perché i prati stabili sorgono proprio laddove ci sono gli allevamenti.

Fondamentale è l’irrigazione idrica dei prati perché, oltre ad essere essenziali per la crescita delle erbe, permettono di trasportare da un prato a un altro i semi, così come dalle montagne a valle, aumentando le varietà presenti nei singoli prati.

La propagazione, invece, è un processo un po’ più complesso: ecco perché i prati stabili sono più o meno gli stessi da più di 100 anni.

Bisogna circoscrivere un terreno, livellare e arginarlo bene per consentire una corretta irrigazione, si deve smettere totalmente di ararlo e adibirlo a medicaio. Anno dopo anno, con irrigazioni regolari, su questo terreno cominceranno a comparire le prime piante tipiche del prato stabile. La semina può essere di tipo naturale, oppure ci sono anche aziende che hanno prodotto dei mix pronti all’uso; nel primo caso i tempi sono più lunghi ma la varietà sarà più ricca, mentre nel secondo caso si riesce ad avere un prato stabile in un tempo più ridotto ma con una minore varietà. Per creare un cotico erboso con quelle 60/70 varietà di erbe all’ettaro ci vorrà almeno una decina di anni.

Secondo diverse ricerche, i prati stabili sono molto importanti non solo per l’alimentazione del bestiame ma contribuiscono a salvaguardare la salute del nostro pianeta. Ci può spiegare in che modo lo fanno?

Essendo una cultura che si autosemina e quindi non necessita di aratura, un prato stabile è in grado di immagazzinare azoto nel proprio cotico erboso senza rilasciarlo nell’atmosfera. Normalmente l’aratura comporta il rilascio di questo gas nell’atmosfera mentre nel caso del prato stabile diventa una sorta di magazzino naturale: a confronto di un prodotto come il mais, ha una capacità di immagazzinamento ben tre volte superiore all’incirca tra i 6 e 8 kg al metro quadro.

Poi per il fatto che non vengono arati, evita l’impiego di trattori a gasolio e altri macchinari per la sua gestione e mantenimento, così come non sono necessari agenti chimici dannosi per l’atmosfera e il sottosuolo. È una sorta di polmone per il nostro pianeta, anzi, meglio: è una sorta di un filtro naturale sempre “nuovo” perché facendo gli sfalci ogni 40 giorni è un po’ come se fosse sempre “appena installato”.

Inoltre è un vero e proprio termoregolatore, nel senso che il suo colore e il microclima necessario alla sua crescita, mitiga molto le temperature. Dove c’è un prato stabile c’è più fresco e questo si nota moltissimo quando passiamo dalla campagna al paese, ci sono almeno 3-4 gradi di differenza. 

Nel nostro paese ci sono delle normative che oggi aiutano a tutelare e mantenere questo tipo di coltura? Cosa altro si potrebbe fare per renderle più efficaci?

Da qualche anno a questa parte in Italia sono state attivate delle sovvenzioni da parte dello Stato per la tutela e il mantenimento dei prati stabili: finalmente dopo tanti anni è stato riconosciuto il principio della biodiversità che trova un esempio più che mai concreto nel prato stabile. La necessità che sento più impellente oggi è quella di attivare delle politiche non solo di riconoscimento ma soprattutto di tutela che aiutino, anzi incentivino noi agricoltori a mantenere questo tipo di coltura.

Sono necessari degli interventi in risposta ad alcuni fenomeni di questi anni, sempre nel pieno rispetto del territorio. Questo luogo è stato fortemente antropizzato perché lo abbiamo costruito e modellato per rispondere a delle esigenze concrete; se ci sono praterie e prati stabili è perché sono state create delle infrastrutture per poterli avere. Se avessimo lasciato tutto così com’era questo territorio oggi sarebbe principalmente boschivo e con molti acquitrini. Quindi credo che si debba studiare delle soluzioni iper localizzate perché ogni territorio ha delle caratteristiche e delle esigenze diverse che necessitano di soluzioni quasi “tailor made” per poter essere davvero efficaci e in grado di valorizzare i prodotti e le tradizioni.

Bisogna smettere di pensare a politiche universali che si basano sui processi industriali e sposano il principio di standardizzazione: non possiamo permettere che queste peculiarità, che danno vita a prodotti di eccellenza come il Parmigiano Reggiano, possano pian piano scomparire.

© Stefano Marzoli

La storia millenaria dei prati stabili

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