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Agire localmente e pensare globalmente

di Anna Prandoni, 30 Settembre 2020
Tempo di lettura: 15 minuti
Agire localmente e pensare globalmente

Le idee e la passione per il sociale sono spinte propulsive fortissime, che permettono alle persone di fare insieme ciò che da sole non riuscirebbero nemmeno a pensare: è questo il principio su cui si basa la vita associativa di Rolando Cervi, presidente del WWF di Parma dal 2011 e attivista da oltre vent’anni di questa grande realtà, operativa in tutto il mondo sui temi ambientali. Temi che si intrecciano fortemente con la vita delle persone e del territorio, riuscendo a incidere sulla nostra quotidianità più di quanto pensiamo.

Quanto conta lacqua nelleconomia di un territorio?

Le città che hanno un affaccio sull’acqua, sia essa mare, lago o fiume, hanno sempre una relazione molto intima con questo specchio d’acqua, sotto vari aspetti, culturale, sociale, ambientale. Per noi il torrente Parma è un bel corridoio ecologico che attraversa la città e ne condivide il nome: è un pezzo importante della città.

È un pezzo di ambiente naturale in mezzo al centro urbano, che nel tempo ha riguadagnato alberi, arbusti, ed è pieno di animali: è un bel pezzo di natura in mezzo alla città, e non capita spesso in altri centri. La città è abituata ad averlo e noi facciamo buona guardia.

Una bella vittoria l’abbiamo avuta l’anno scorso, quando il Comune voleva fare una pista ciclabile nell’alveo del torrente. Questo corso d’acqua cittadino ha una caratteristica unica o quasi: ha un livello di naturalità altissimo. Attraverso questa via d’acqua, per esempio, i caprioli arrivano praticamente in città. Creare qualcosa di ‘costruito’ avrebbe rotto questo ecosistema: stimolata da noi e con una rete di associazioni è nata una vera e propria sollevazione popolare. Il comune ha cambiato idea e hanno accantonato il progetto, lasciando intatta questa importante risorsa. La città ha capito che non era solo un problema ambientale, ma culturale. A Parma siamo fortunati, abbiamo dei polmoni verdi, come il parco Ducale e il parco Cittadella: ma quello è verde in qualche modo “governato”, mentre quello del fiume – pur essendo anch’esso pulito e governato – ha un livello di naturalità molto bello e sorprendente: non è abituale avere i caprioli a 100 metri dal centro. Non sono molte le città italiane che hanno questa fortuna. Questo corridoio d’acqua non è stato disegnato o progettato da nessuno: ci siamo semplicemente “distratti” per qualche decennio e la natura ha ripreso i suoi spazi. Con il lockdown poi, abbiamo visto molti più animali del solito: era ancora più frequente vedere fagiani e martin pescatori che hanno ripopolato quell’ambiente e l’hanno reso ancora più interessante dal punto di vista naturalistico.

© Francesca Tilio / LUZ /Scaglie

Qual è stata la spinta che lha portata a diventare un volontario sui temi ambientali?

Ho un’estrazione umanistica, non avevo una competenza verticale specifica sui temi ambientali, ma nel tempo ho studiato molto e ho fatto un corso di perfezionamento universitario sul cambiamento climatico. Da qualche anno questo è diventato – oltre che il mio impegno sociale come volontario dell’associazione –  anche il mio lavoro, con attività di consulenza e formazione.

Nel tempo, come attivista prima e come presidente poi, ho maturato le competenze che servono e mi sono occupato di tantissimi temi, dalla biodiversità, al verde urbano, alla natura, ho affrontato la questione del lupo – il WWF si è battuto contro la proposta di alcuni comuni in Italia che supportavano l’abbattimento controllato dei lupi tornati, in maniera naturale, in alcune zone dell’Appennino, ndr –  e sono referente di una delle due aree protette che abbiamo in zona. Mi sono avvicinato a questa realtà credo per merito di mio padre: anche in tempi in cui questi argomenti erano poco di moda lui mi ha trasmesso l’attenzione all’ambiente e al contrasto all’inquinamento, con una visione civica del problema. La mia passione nasce da lì.

Quanto ha inciso nella sua vita privata e professionale questa esperienza?

Una delle cose di cui sono più grato di quest’esperienza è quanto ho imparato. Ho imparato a digerire le sconfitte, che nella vita poi significa saper perdere. Da quando si è creata la necessità di diventare presidente dell’associazione ho imparato un sacco, perché in questa attività non c’è una routine: impari e ti metti in gioco ogni giorno su cose che non sapevi fino a un attimo prima. Credo che valga per qualunque ambito di volontariato: oltre al fatto di aiutare la collettività c’è un forte senso di responsabilità. Senti di dare il tuo contributo: occuparsi di ambiente è una forma di solidarietà e di giustizia intergenerazionale. Ti occupi della giustizia, e di quello che saremo noi tra vent’anni. Ci dobbiamo rendere conto che stiamo segando il ramo sul quale siamo seduti nella totale indifferenza di chi verrà dopo di noi.

Il WWF come tutela questo territorio? 

Questa è un po’ una peculiarità italiana. Il WWF Italia è un pezzo del WWF internazionale ed è strutturato in decine di attività territoriali, associazioni locali di varia natura e di varie dimensioni che fanno capo al WWF Italia. Questa è sia una difficoltà che un’opportunità. 

Puoi trovarti localmente a gestire situazioni dovendoti inventare idee e procedure, perché quello specifico problema non è nelle priorità nazionali dell’associazione. Questo ti obbliga ad agire con creatività e concretizza quel vecchio motto: “Agire localmente e pensare globalmente”.

Sei sempre all’interno di un contesto che ti obbliga ad avere una visione globale, che per me è il modo più avanzato di occuparsi di ambiente.

Credo comunque che oggi questo sia l’unico approccio possibile rispetto a qualunque tema. Lavorare con un’associazione come il WWF ti obbliga a curare le relazioni tra centro e periferia, e ad allinearti ad alcune norme che ti vengono date. Ti obbliga a mantenere lo sguardo sulle dimensioni larghe delle questioni. Questa è l’altra grande cosa che ho imparato da questa esperienza: lo sguardo troppo vicino ti fa magari venire a capo di una cosa di breve periodo, ma perdi la visione allargata, che è quella su cui costruire sul lungo periodo.

Come possiamo, da cittadini, fare la nostra parte per alleggerire il carico della Terra?

La cosa principale da fare è culturale: è comprendere a fondo il fatto che tutte le risorse che utilizziamo sono finite, nel senso di disponibili in quantità limitate.

I guai che abbiamo come umanità dipendono per la maggior parte da problemi legati all’ambiente. Il cambiamento climatico è la minaccia più grande che ha davanti l’umanità: non c’è problema economico, sociale, geopolitico che non sia legato al cambiamento climatico. Tutti gli analisti ci dicono che nel prossimo secolo tutte le guerre che si sono combattute per il petrolio si faranno per l’acqua, e questo vale in tutto il mondo. Dobbiamo capire profondamente che viviamo in un mondo che ha dei limiti, e quindi smettere di sprecare ed eliminare tutto ciò che è superfluo. Faccio il solito esempio stupido: chiudi l’acqua mentre ti lavi i denti. Negli ultimi 50 anni ci siamo abituati a immaginare l’acqua come risorsa infinita e sostanzialmente gratuita. Non è così. È vero che lo spreco maggiore lo fa l’agricoltura, ma il peso del nostro spreco d’acqua domestico è il 20% del totale. Ha un peso relativo, ma ce l’ha. L’atteggiamento che teniamo rispetto a questo problema è comunque significativo: l’acqua ha un costo nella bolletta ma soprattutto ha un costo per l’ambiente. L’acqua potabile è una percentuale infinitesimale di quella della Terra: ricordarsene è fondamentale.  

© Francesca Tilio / LUZ /Scaglie

Quindi dobbiamo in qualche modo fermarci?

Capire la finitezza delle risorse della terra significa smettere di sprecarle. Non significa che dobbiamo tornare indietro: è vero il contrario. La sostenibilità è la più grande forma di innovazione che si possa portare oggi. Tutte le grandi innovazioni che verranno nei prossimi decenni o saranno sostenibili o non saranno innovazioni.

Chi dice che gli ecologisti sono contro il progresso o è ignorante o è in malafede: il divorare la terra come abbiamo fatto negli ultimi 200 anni è quello che Pasolini avrebbe definito uno sviluppo senza progresso. L’unico vero progresso è quello della sostenibilità, non solo ambientale ma anche sociale ed economica.

Tutti i guai che abbiamo in ambito geopolitico sono legati anche a questioni di tipo ambientale: i cambiamenti climatici costringeranno alle migrazioni dai 300 milioni al miliardo di persone. L’Europa oggi rischia di andare a gambe all’aria per qualche migliaio di migranti: come pensiamo di gestire questa cosa così tanto più grande? È chiaro che tutto questo ha dei costi, ma pensare la sostenibilità è una grande forma di progresso.

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