EDITORIALE
Le radici della creatività
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L’Emilia Romagna è una terra universalmente nota per il senso di piacevolezza, di carnalità e gioia di vivere che trasmette. Tra feste in piazza e mega discoteche all’aperto, tra università millenarie e palazzi cinquecenteschi è una delle zone d’Italia che coniuga meglio l’idea di convivialità ma anche di appartenenza, di luminosa leggerezza e di ricercata profondità culturale.
Difficilmente la moda viene associata a quest’area ma a pensarci bene Giorgio Armani è nato a Piacenza, a Reggio Emilia c’è la sede di Max Mara, il territorio di Carpi è un importantissimo hub per la produzione di maglieria (basta ricordare Blumarine) mentre il gruppo Alberta Ferretti e Gilmar sono entrambi di Cattolica.
Forse è difficile indovinare in questi marchi storici una comune matrice che li ricolleghi in qualche modo alla loro terra d’origine ma in realtà esiste una nuova generazione di designer che non solo ha fatto pace con i propri luoghi di nascita, ma usa le proprie radici come combustibile per la propria creatività.
La moda di oggi ha infatti imparato a usare i localismi come variabile distintiva dell’identità dei brand e sono sempre di più, non solo in Italia, gli stilisti che raccontano in modo contemporaneo e non nostalgico i luoghi in cui hanno passato la propria infanzia e in cui, in molti casi, ancora vivono. Questa tendenza è significativa del bisogno di sincerità che, anche nella moda, si sta sempre più sentendo ed è sempre più evidente come raccontare piccole storie di un’area circoscritta permetta di sviluppare metafore che sono comprensibili globalmente.
Federico Cina, Marco Rambaldi e Luca Magliano sono più o meno della stessa generazione di trentenni e hanno deciso di osservare in maniera diversa ma ugualmente interessante il territorio e le tradizioni emiliano romagnole, scegliendoli anche come sede di lavoro.
Federico Cina è un giovane designer di Sarsina, un piccolo comune in provincia di Cesena, che dopo aver frequentato il Polimoda di Firenze ha vinto il prestigioso concorso Who’s On Next, promosso da Vogue Italia e Alta Roma ed è poi stato tra i semifinalisti dell’LVMH Prize, il più importante premio per designer emergenti al mondo.
Come molti della sua generazione, pur avendo uno sguardo internazionale, è particolarmente attento alle sue radici e dalla cultura della sua terra trae ispirazione per le sue collezioni.
Per disegnare la sua collezione maschile, Federico lavora con l’Antica Stamperia Artigiana Marchi a Santarcangelo di Romagna, sviluppando con loro una parte di stampe fatte ancora seguendo la tecnica tradizionale degli stampi in legno con i colori a ruggine, un metodo completamente manuale che si usava per tovaglie e tende. Ma non è solo questo piccolo ma importante particolare a collocare il progetto di Federico vicino al suo territorio: nella sua strada ha incontrato fotografi, videomaker e artisti locali con cui ha deciso di collaborare per darsi reciprocamente aiuto e visibilità, costruendo qualcosa di molto simile a una factory e portando alla luce molti talenti della scena underground romagnola.
Marco Rambaldi, classe 1990, di Bologna, si è laureato allo IUAV di Venezia in Fashion Design e dopo un’esperienza da Dolce & Gabbana ha deciso di creare un progetto personale che porta il suo nome. In questo caso la radice della sua estetica viene da uno dei luoghi più culturalmente e politicamente avanzati d’Italia, Bologna appunto, e i suoi riferimenti sono agli anni ’70 delle contestazioni studentesche e dei movimenti di liberazione LGBTQ+. In particolare Marco, cresciuto respirando l’apertura e la capacità di inclusione del suo territorio, ne ha distillato l’essenza nel suo progetto rendendo le sue sfilate dei veri e propri manifesti all’accettazione di ogni genere, forma fisica e provenienza e ricevendo, per la sua ultima sfilata, l’appoggio di Valentino che ne ha trasmesso lo show in streaming sui propri canali social.
Ogni collezione di Rambaldi ha un richiamo preciso a un luogo o a un avvenimento di Bologna, dalle lotte femministe, a quelle per i diritti civili del Cassero, a quelle studentesche del ’68.
Il suo è uno sguardo decisamente politico che si nutre di una cultura fortemente progressista che ha lasciato tracce indelebili nella storia del nostro paese.
Anche Luca Magliano è bolognese e anche lui, come Federico Cina, disegna una collezione maschile. Il suo immaginario pesca dal vestire formale maschile, quello adatto alle cerimonie religiose o laiche, quello che richiede un preciso e lungo rituale e che ha in sé qualcosa di molto antico e per questo qualcosa di molto moderno. Magliano ha un modo estremamente preciso e riconoscibile di mettere in scena le sue collezioni attraverso video spettacolari o emozionanti rappresentazioni che rimandano alla cultura del teatro underground emiliano-romagnolo e a nomi ormai divenuti storici come i Raffaello Sanzio o i Motus. Il suo è forse il progetto più slegato dalle logiche commerciali della moda del momento ed è infatti stato riconosciuto prima di tutti da mercati estremamente all’avanguardia come quello giapponese.
Tutti e tre i progetti hanno in comune una caratteristica che è anche propria di questa terra: l’autenticità, la capacità di un’espressione libera, di un riconoscimento profondo della propria identità e in generale di creare ottimismo invece che pessimismo. Nessuno dei tre sta minimamente pensando di spostarsi dai propri luoghi di origine perché tutti e tre sanno che esattamente lì dove sono risiede l’origine della loro forza creativa.
Illustrazione © Davide Bonazzi