COMUNITÁ
Tutti insieme
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Il gioiellino del fiume Panaro si chiama La Lanterna di Diogene, è una cooperativa sociale già segnalata da Slow Food come una delle migliori osterie dell’Emilia Romagna. Qui l’inclusività sociale e la tutela del territorio si incontrano e mettono insieme una vera e propria rivoluzione nel mondo della ristorazione.
A Solara di Bomporto, in provincia di Modena, si trova La Lanterna di Diogene una cooperativa sociale nata da un gruppo di amici che, seduti intorno a un tavolo con vino, pane e salame, cercavano di dar risposta al desiderio che tutta l’umanità esprime quando deve affrontare il mondo del lavoro: fare un’attività che piace, che dia soddisfazione, fatta con le persone con cui si sta bene.
A quel tavolo c’era anche Giovanni Cuocci, pioniere di questo progetto.
Un personaggio entusiasta e senza peli sulla lingua, una voglia di fare immensa e lo spirito emiliano: fare il possibile per stare bene tutti.
Abbiamo raggiunto Giovanni al telefono per farci raccontare la storia di questo gioiellino sorto sulle rive del fiume Panaro, dove ragazzi e ragazze con disabilità mentale e fisica hanno costruito un progetto comune con impegno e attenzione verso l’ambiente e il territorio.
Come nasce il progetto La Lanterna di Diogene?
Da subito abbiamo realizzato che ci piaceva coltivare la terra, allevare gli animali e che volevamo trasformare tutto questo in un’osteria per accogliere clienti e avventori; valorizzando il territorio e le persone che lo abitano.
La Lanterna di Diogene nasce in un’area della Pianura Padana abbastanza sfruttata, l’idea era quella di coltivare e allevare in un modo sostenibile ridando vita ai quei microorganismi del terreno e a quel ritmo della natura che si stava perdendo, il tutto si poteva fare applicando un’agricoltura familiare e di sussistenza. Così abbiamo fatto.
Nel 2006, poi, abbiamo inaugurato l’osteria, che è diventata la punta dell’iceberg, il luogo in cui tutti potevano incontrarci. Coloro che lavorano all’interno dell’osteria sono persone con varie patologie, sono soci della cooperativa e tengono viva l’attività.
Mi racconti l’origine di questo nome?
Diogene era un filosofo ateniese nato trecento anni prima di Cristo, è conosciuto come padre della corrente filosofica del cinismo, inteso nella sua vecchia accezione – non quella moderna che si dà al termine – quella di vivere come un cane: scodinzolare a chi ti fa una carezza e ringhiare verso chi ti minaccia. Vivere quindi spogli dall’ipocrisia e riappropriarsi dell’essenza e dell’istinto.
L’uomo che ricerca Diogene è quello vero e incarnato, ci rispecchiamo in lui poiché si tratta di un uomo che vive all’interno della società ma non ne accetta tutti i dogmi, vive controcorrente.
Da questo concetto nasce l’idea di dare spazio anche alle persone che normalmente sono considerate “non produttive”. Noi siamo in Emilia Romagna dove il concetto di salute, purtroppo, combacia con quello del lavoro. Quando la zia va a trovare la nonna all’ospedale e tu le chiedi “Zia come sta la nonna?” Lei ti risponde “L’è un più brut’ lavor’”, cioè è un brutto lavoro: non è quindi abile alla fatica. Pensa, quindi, quanto è radicato il pensiero per cui lo stato di salute coincide con l’attività lavorativa. Noi abbiamo dato spazio a persone che non sono considerate in grado di far parte del mondo lavorativo. Questo ci fa sentire controcorrente, proprio come Diogene. Il fatto di aver preso a cuore il territorio e le persone che lo abitano, senza fare scissione, significa valorizzare il mondo che ci sta intorno.
L’idea era anche quella di dare un futuro professionale a chi, di solito, non ce l’ha
Nasciamo per dare un futuro professionale ed economico a persone che di solito non sono inserite nei circuiti produttivi, poiché considerate “non in grado di…”. Alla Lanterna ognuno partecipa attraverso le capacità che ha, mette un pezzetto di sé e insieme agli altri si fa una cosa buona insieme… buona da mangiare!
Si tratta di una cooperativa sociale, ovvero di un’attività di proprietà condivisa fra tante persone. Tra i soci della Lanterna ci sono i ragazzi e le ragazze assunte e quelli che invece ancora non lo sono. Tutti però siamo proprietari della fattoria e dell’attività.
Vi siete ispirati a qualcuno nel mettere in piedi questo progetto?
Io ho una grossa difficoltà, non ho false modestie, sono gli altri che si sono ispirati a noi e ne sono molto contento. Spero che il mondo sia ricoperto da realtà che fanno attività del genere.
L’incontro della diversità e della valorizzazione della persona per noi significa mettere insieme tutti, soprattutto connettere persone che hanno problemi molto diversi l’una dall’altra.
Che valore assume il concetto di comunità in una realtà come quella de La Lanterna di Diogene?
È una messa in discussione costante e quotidiana fra tutti. L’attività è strutturata e pensata come uno scambio, proprio come avviene all’interno di una famiglia dove si può non essere d’accordo, si può litigare, ci si può mandare a quel paese, ma nessuno mette in discussione l’affetto. Si mette in discussione il problema, si vanno a toccare le viscere e a volte ci si confronta anche in maniera accesa, ma tutti condividono lo stesso ideale.
Tu da che mondo vieni, che percorso hai fatto?
Io ho fatto tante cose ma ho sempre tenuto a mente e avuto a cuore l’incontro con la diversità.
Per me è sempre stato molto importante non fossilizzarmi su una sola veduta, un solo modo di stare al mondo. Il mio primo passaggio evolutivo è stato quello di crearmi un’identità, dandomi la possibilità di riconoscere pregi e difetti e così di incontrare l’altro. A me non interessano i limiti delle persone, ho bisogno di guardare cosa c’è di positivo e cosa tu puoi mettere nel nostro stare insieme, che sia condivisibile da tutti e due.
In che modo il territorio e la comunità emiliana influenzano il vostro lavoro?
Purtroppo o per fortuna c’è un’egemonia della cultura emiliana nella nostra cucina, noi usiamo solo prodotti emiliani tranne il cioccolato, il caffè e la vaniglia; tutto il resto, se non lo produciamo noi, lo compriamo da produttori di queste parti, compreso l’immancabile Parmigiano Reggiano. La nostra comunità è composta da tante persone, io dico che a pranzo siamo sempre in venti ma le persone della cooperativa sono di più.
“La disabilità è uno dei molteplici aspetti che ci compongono”, la frase è di Marina Cuollo, autrice e attivista sui temi dell’abilismo. Il concetto che lei esprime è che la disabilità viene sempre raccontata con un alone eroico e idilliaco, tralasciando l’aspetto umano delle persone con disabilità e costruendo dei personaggi che magari nella realtà non esistono. La tua brigata come si racconta al mondo e come parlate, se ne parlate, di disabilità?
Per noi la disabilità è un argomento costante e quotidiano, tutti sanno e se ne parla senza difficoltà. Ci teniamo però a non sottolineare il limite e quello che ti manca, ma preferiamo parlare di quello che hai e che puoi condividere.
Una volta preso atto del limite facciamo i conti con tutto quello che si può e quello che non si può.
Foto © Francesca Tilio