TERRITORIO
Adottare un ghiacciaio
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Gabriele Doppiu, Giovanni Cartapani, Pietro Cimenti e Sara Signorelli hanno ventitré anni, quattro lauree alla Bocconi e una grande passione per la montagna. Da qualche mese hanno fondato Glac-UP, la prima realtà al mondo che permette di adottare un ghiacciaio per “salvarlo”. Si tratta di una start-up che coinvolge privati e aziende nella salvaguardia e nella valorizzazione dei ghiacciai alpini.
Abbiamo incontrato uno dei co-fondatori, Gabriele, come esempio virtuoso in grado di creare un impatto positivo sul territorio e sulle comunità locali.
Un territorio si compone di elementi naturali ed elementi umani. Il rapporto tra questi è dinamico, nel senso che entrambi si influenzano a vicenda e, insieme, concorrono a scrivere la storia di un luogo. Che cosa significa per te valorizzare il territorio?
Hai toccato subito un punto chiave, perché noi con Glac-UP proponiamo un’attività di promozione attiva che coinvolge siti in cui, tendenzialmente, c’è già la mano dell’uomo. Quindi questo discorso che fai sull’integrazione tra uomo e natura in questo caso è fortissimo. Spesso e volentieri nell’immaginario collettivo si guarda agli impianti sciistici come, chiaramente, una traccia antropica che non va proprio ad abbellire una determinata località di montagna. Quindi l’elemento umano sembrerebbe in contrasto con quello naturale. Nel nostro caso, invece, l’uomo ha popolato una zona, creando una comunità di persone che hanno come desiderio massimo proprio quello di preservarla. La bellezza dei siti in cui già operiamo e opereremo è proprio fragile, precaria: lì ci sono ghiacciai, estremamente vittime del cambiamento climatico. E noi andiamo a tutelare uno degli elementi cardine che quella comunità locale montana ha, quello su cui basa tutte le proprie attività e la propria attrattività.
Che poi è uno dei princìpi del turismo sostenibile: la cura di questi elementi porta a una valorizzazione di quello che c’è e delle comunità che vivono quel territorio.
Totale, ed è proprio uno dei punti cardine sui quali puntiamo: la nostra attività ha un impatto positivo verso quell’entourage di persone che vive la località, e verso tutto l’apporto turistico che ne deriva, perché crea benessere.
Ho letto che in dodici anni, tra il 2003 e il 2020, abbiamo perso il 13% dei ghiacciai alpini. In questo caso non un gran benessere. Quanto siamo messi male?
L’Agenzia Europea dell’ambiente ha pubblicato un report che prevede che il 90% dei ghiacciai alpini si scioglierà entro fine secolo. Si tratta di un modello di previsione che sviluppa più scenari, e questo è il peggiore. Questi scenari si dipingono in base alle risposte di vari Paesi alle linee guida internazionali, nel nostro caso dell’Unione Europea. Se i Paesi sono virtuosi e seguono, o addirittura battono sul tempo, le raccomandazioni che giungono allora sì, possiamo avere più speranza. Diversamente la situazione è proprio tragica. L’obiettivo degli Accordi di Parigi è di tenere l’incremento della temperatura globale sotto 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali: un grado e mezzo può non sembrare molto, eppure per i ghiacciai è deleterio. Buona parte del nostro lavoro è incentrata sull’awareness, ovvero sulla sensibilizzazione e sulla presa di coscienza di questo fatto, e soprattutto di quanto sia impellente. Noi cerchiamo di farlo presente affinché si attiri l’attenzione di tutti, e mentre aspettiamo che la macchina globale si attivi, intanto, cerchiamo di fare quello che si può: cerchiamo aiuto per coprire i ghiacciai. Se il mondo si sensibilizza ce la possiamo fare.
Negli ultimi anni abbiamo iniziato ad adottare alberi, api, foche, e da oggi con Glac-UP possiamo anche adottare un ghiacciaio. Come è nata questa idea?
Di base l’idea di adottare un ghiacciaio nasce dalla passione di tutti e quattro per il mondo della montagna. Io, Pietro e Giovanni ci siamo conosciuti a Singapore, quando abbiamo fatto l’exchange in triennale, poi il team si è consolidato con Sara durante il primo corso del Master che stiamo frequentando in Bocconi, Economics and Management of Innovation and Technology. Da buoni studenti di business, abbiamo guardato fin da subito ad aziende come Treedom – tra l’altro grande orgoglio italiano – che sono di successo, stanno crescendo bene e che hanno valori in cui ci ritroviamo. Un modello di business di questo tipo si è dimostrato efficace in vari ambiti, dalla piantumazione (con successiva tutela delle comunità nei paesi sottosviluppati) alla rimozione della plastica negli oceani, ma anche nelle attività contro lo spreco di cibo e per la salvaguardia delle api. Mancava qualcuno che si occupasse della salvaguardia dei ghiacciai alpini. Quindi noi abbiamo preso quel modello di business e lo abbiamo applicato a un’altra vittima del cambiamento climatico, i ghiacciai alpini, dando la possibilità a persone e aziende di prendere parte a questa sfida adottando una porzione di ghiacciaio.
E, dopo aver sviluppato l’idea, ad agosto siete nati come Società Benefit
Sì, ed è una decisione in cui crediamo molto: come studenti di business, pensiamo che una delle sfide più grandi della nostra generazione sia quella di dimostrare che business e sostenibilità non sono più strade distinte che non si incontrano, ma possono e devono vivere insieme. Il business può essere un grandissimo carburante per la sostenibilità, perché permette di far crescere una buona causa quanto più rapidamente possibile. E considerando quanto sia impellente il problema dello scioglimento dei ghiacciai alpini, e appurando che non c’è tempo, è fondamentale avere una macchina come quella che abbiamo costruito pronta a raccogliere tutte le risorse necessarie a raggiungere l’obiettivo il prima possibile.
Siete tutti giovanissimi, classe 1998, come e quanto ha influenzato l’età nella costruzione dell’idea?
Finora l’età è stata un fattore di forza, per diversi motivi. Se ci pensi, quando si avvia una start-up ci sono vari rischi. Stiamo facendo una cosa che non fa nessuno, che può essere controversa, che mette insieme molti attori, e su cui noi ci mettiamo la faccia. Magari tra qualche anno avrà una scala molto importante, oppure non ci sarà più, e non possiamo saperlo oggi. Quindi tutto ciò noi lo affrontiamo più serenamente in quanto ventitreenni. Ci stiamo lanciando su una cosa che ci sta estremamente a cuore, e non abbiamo niente da perdere. Sotto il profilo umano e personale c’è una sovrapposizione a livello valoriale, insomma la cultura aziendale la stiamo creando noi.
E a livello operativo state riscontrando delle difficoltà?
Sotto il profilo professionale ovviamente stiamo imparando tantissimo. Ma siamo anche circondati da persone che ammirano la nostra determinazione ancora di più, e si pongono in maniera propositiva proprio perché siamo giovani. Poi è normale che ci siano dei gap a livello di competenze, per questo abbiamo costituito fin da subito un advisory board, cioè un organo informale formato da quattro professionisti senior, che muovono dal mondo della consulenza strategica, alla finanza di startup, al turismo montagna, alle grandi aziende. Sono quattro persone estremamente preparate, che credono nel progetto e che ci supportano a livello strategico, con cui ci confrontiamo regolarmente e ci forniscono nuove prospettive grazie alle esperienze che hanno maturato negli anni.
Quindi, step by step, come funziona Glac-UP?
Nel periodo dell’anno che muove dall’autunno all’inverno, il periodo attuale per intenderci, fino all’inizio della primavera, Glac-UP lavora per coinvolgere persone e aziende proponendo loro la possibilità di adottare porzioni di ghiacciaio, così che vengano coperti nella stagione più calda da teli geotessili, che li preservino dal troppo riscaldamento e dal loro scioglimento graduale. L’adozione dura un anno e si attiva per la stagione estiva successiva. Chiunque può adottare un ghiacciaio per se stesso o per fare un regalo ad altri. E lo può fare dal nostro sito web o attraverso varie attività di promozione locali nelle aree dei ghiacciai oggetto del nostro intervento (ad esempio con l’acquisto degli skipass o in alberghi convenzionati). Le persone ottengono un certificato virtuale di adozione a garanzia, firmato dalla nostra Benefit Director e dal Presidente del Consorzio, che ha l’autorità demaniale sul ghiacciaio. Nel mese di maggio prende il via l’operazione di protezione attiva con i teli geotessili, operazione complessa che dura 40 giorni. In questa fase sono coinvolti operai specializzati che stendono i teli per coprire il ghiacciaio. Quei teli rimangono ben posizionati per tutti i mesi caldi, di giugno, luglio e agosto, quando si registrano le temperature più pericolose, e vengono rimossi a settembre con un’operazione elaborata che richiede il lavoro di un mese.
Tutto chiarissimo. Ogni anno i teli geotessili salvano uno strato di ghiaccio consistente, che altrimenti andrebbe perso. Per chi non è troppo ferrato in fisica, come funzionano questi teloni?
Conta che in altezza si vanno a salvare fino a 3,5 metri di ghiaccio. Giovanni ed io abbiamo fatto una foto proprio per far vedere la differenza tra una parte coperta dal telo e una parte che invece è rimasta scoperta, è impressionante. Si tratta di teli larghi 5 metri e lunghi 70 metri, quindi sono dei grandissimi teloni bianchi che vengono stesi da monte verso valle, e poi vengono cuciti l’uno all’altro.
Cuciti?
Sì, hai capito bene, non vengono termosaldati, ma sono proprio cuciti. Questo perché a fine stagione, per rimuoverli, si fa saltare il punto di cucitura e così facendo si salvano più parti. Se invece fossero termosaldati allora si dovrebbero tagliare e si perderebbero più porzioni di telo, senza poterle riutilizzare nella stagione successiva. E, tornando al funzionamento, il principio è semplicissimo. I teli sono rigorosamente bianchi, così da riflettere la luce solare. Per questo devono essere sostituiti dopo un paio d’anni di utilizzo, perché si sporcano. Sporcandosi si ingrigiscono e perdono la capacità di riflettere la luce. A livello di materiali quello che viene utilizzato al momento è un tessuto-non-tessuto, però quello che vogliamo fare con Glac-UP è andare a studiare, di sito in sito, il materiale più opportuno per ogni località. Ora stiamo avviando la prima collaborazione con una località in Trentino e useremo il tessuto-non-tessuto, che massimizza la capacità di riflettere la luce, è un materiale abbastanza isolante, e permette di tenere la temperatura sotto il telo molto più bassa rispetto a quella circostante – che poi è tutto quello che serve per salvare il ghiaccio.
E poi questi teli vorreste riutilizzarli in iniziative di economia circolare, ad esempio a che cosa state pensando?
Ci sono due o tre strade che stiamo percorrendo e su cui stiamo ragionando. La prima riguarda un utilizzo massivo del materiale in settori quali l’edilizia, perché isola molto bene. Ed è anche l’opzione più semplice, proprio perché quel materiale è già pronto per essere utilizzato in un altro modo. La seconda strada, che è la più complessa, è ragionare in termini di rigenerazione del materiale; quindi scinderlo in particelle per ottenere nuovi materiali. Poi c’è un’altra possibilità, che ha a che vedere con degli “oggetti simbolici”, ovvero una sorta di gadget che possano sfruttare le proprietà fisiche dello stesso materiale, quindi l’isolamento termico. Potrebbe essere interessante: se ci pensi, 4Ocean, realtà simile alla nostra che si occupa di rimuovere la plastica dai mari, dà braccialetti simbolici a chi interviene, poi ce n’è un’altra che crea degli occhiali da sole. C’è da ragionarci. Però in ogni caso ci piacerebbe che il materiale rimanesse nella località dove ha contribuito a salvare il ghiacciaio, anche per una questione di impatto ambientale, per evitare spedizioni. Quindi, quando saranno lanciati, questi gadget saranno ritirabili nelle singole località. Che poi così continua anche quel fil rouge di cui parlavamo prima in relazione al territorio: il telo acquisisce una nuova vita, ma lo fa nella stessa zona in cui ha asservito la sua funzione primaria di salvaguardia del ghiacciaio.
Credo che sia una bella presa di posizione che le persone apprezzeranno. Dall’altro lato però c’è ancora chi non è del tutto convinto del cambiamento climatico, o almeno non lo prende troppo seriamente. Per concludere, ti andrebbe di raccontarci quali saranno le conseguenze principali dello scioglimento dei ghiacciai?
C’è da fare innanzitutto una distinzione tra ghiacciai e ghiacciai alpini. Se sentiamo parlare dell’innalzamento del livello del mare, tendenzialmente è una problematica relativa allo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, o in generale dei Poli. Noi stiamo parlando di ghiacciai alpini e, in questo caso, una conseguenza iper tangibile che ci deve preoccupare è tutto quello che afferisce al discorso idrogeologico; in particolare frane, smottamenti, valanghe e così via. Questo perché il ghiacciaio è parte integrante della montagna. Nel momento in cui si scioglie, e lo fa molto rapidamente, si va a erodere una componente che tiene in piedi altre componenti. Quindi il rischio di frane, ad esempio, cresce esponenzialmente.
Una seconda componente ha a che vedere con il valore dei ghiacciai come fonte di acqua. Noi non ci pensiamo spesso, perché siamo abituati a bere acqua davvero buona, un’acqua ottima che spesso è figlia diretta delle nostre Alpi. Quando diciamo che l’attività di Glac-UP è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (gli SDG, Sustainable Development Goals) citiamo sempre anche il sesto punto, clean water sanitation, perché noi stiamo andando a fare una protezione attiva dei ghiacciai, che sono alla base di una delle più preziose fonti di acqua pulita che abbiamo sulla Terra.
Ecco, questi sono due fattori che nell’immediato dovrebbero smuovere le coscienze sui ghiacciai alpini, e speriamo che succeda presto e in modo massiccio. C’è bisogno dell’impegno di tutti!
Foto © Courtesy of Glac-UP
Foto © Francesco Merlini